Regia di Elia Kazan vedi scheda film
Di per sé non male, magari un po’ sfilacciato in certi passaggi narrativi, ma disturbante e ideologicamente inaccettabile per il manicheismo di fondo: da una parte i sindacalisti cattivissimi, descritti in modo caricaturale, dall’altra un prete che scopre improvvisamente l’esistenza dei lavoratori e diventa subito il loro paladino. Kazan cerca di fare i conti con i suoi recenti fantasmi personali e risolve il tutto con un contorto elogio della delazione. La cosa più interessante è invece la zona grigia in cui si muove il personaggio di Brando, ex pugile che si è venduto l’anima e aspira inconsapevolmente a redimersi: l’idillio con Eva Marie Saint (al suo esordio) è toccante. Ma gli otto Oscar sono uno sproposito, paragonati ai quattro vinti tre anni prima da un capolavoro come Un tram che si chiama desiderio.
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