Regia di Elia Kazan vedi scheda film
Johnny Friendly è il boss del sindacato dei portuali. Controlla le banchine e fa il buono e il cattivo tempo. Nonostante la polizia sa che è responsabile di diversi omicidi, non avendo testimoni pronti a puntargli contro il dito, per paura di ripercussioni e anche di perdere il lavoro. Terry, fratello di Charles, braccio destro di Johnny, ed ex pugile, si ribellerà al “sistema” anche a rischio della vita e non solo della sua.
Con un bianco e nero quasi sporco, ritmi lenti, inesistenti inquadrature memorabili e dialoghi centellinati, Elia Kazan dirige uno dei suoi film più intensi. Costruisce una trama lineare su personaggi potenti. Oltre alla parabola personale e psicologica di Terry, che approfondiremo poi, a restare impresse sono diverse figure. Padre Barry, prete incorruttibile che non perde mai la voglia e l’occasione di sputare in faccia ai delinquenti il suo disprezzo; Charley Malloy che vive all’ombra di Johnny ed effettivamente non inquadriamo mai fino in fondo e poi lo stesso Johnny Friendly, circondato da buoni a nulla che lo venerano e per questo convinto di poter essere intoccabile, almeno fin quando non sarà lui a pizzicare le corde sbagliate, servendoci e servendosi note stonate.
Terry Malloy è evidentemente l’emblema delle coscienze di tutti i protagonisti, nessuno escluso. Gomma da masticare, giaccone a quadri, modi da spaccone e la convinzione di essere furbo da fare schifo, con tanto di espressione e atteggiamento menefreghista, magistralmente replicato da Marlon Brando. Il suo oscillare tra l’illegale e i legami è un monito per lo spettatore a cui finisce per essere chiaro, fin da subito, che sta per assistere ad una mutazione anzi una maturazione così repentina e radicale da sembrare assurda; non fosse per le motivazioni più che profonde che animano l’irrequieto Terry che inizialmente sembra provare più amore per i piccioni che alleva piuttosto che per gli uomini che lo hanno cresciuto.
Terry Malloy potrebbe essere uno qualsiasi di quei ragazzi di strada che si ritrovano senza più un sogno da rincorrere ma con solo la dignità da preservare e un alito di coscienza che sembra, in sottofondo, richiamare l’attenzione.
Politica, religione e famiglia, un trittico che scotta e che non sempre è semplice convogliare in una sola pellicola o almeno non sempre si riesce a dosarli nel modo opportuno, senza che uno prevalga sull’altro, Elia Kazan ci riesce. Confeziona un film denuncia che resterà negli annali della settima arte, con otto premi oscar vinti, tra cui il primo, dei due vinti nella sua intera carriere, a Marlon Brando.
Un film pesante sia come argomenti che come svolgimento ma necessario.
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