Regia di Don Weis vedi scheda film
The ghost in the invisible bikini (nella incomprensibile ma forse furbesca traduzione italiana Il castello delle donne maledette) è una produzione del 1966 della celebre American International Pictures (AIP), compagnia per la quale, tra gli anni ‘50 e ‘60 sono stati girati numerosi film, soprattutto di fantascienza e horror, tra cui quelli del ciclo di Poe, diretti da Roger Corman con Vincent Price.
Diretto dal regista (di origine televisiva) Don Weis, è uno strano miscuglio di più generi, che nelle intenzioni vuole essere una parodia dei film horror molto in voga in quel periodo, fondendoli persino coi beach movie: il risultato è oltremodo deprimente e fiaccante. Dispiace tra l’altro che siano stati coinvolti nell’operazione due mostri sacri del cinema, quali Boris Karloff e Basil Rathbone: il primo non ha ovviamente bisogno di presentazioni; il secondo per chi non lo sapesse è lo Sherlock Holmes per antonomasia, oltre ad aver girato altri buoni film, su tutti Il figlio di Frankenstein.
La storia è semplice semplice: un’avvenente e giovane donna, Cecilia (Susan Hart), morta da trentadue anni, penetra nella cripta del suo castello e sveglia dal sonno della tomba il marito Hiram (Boris Karloff), deceduto da una settimana, per proporgli di compiere, nel giro di ventiquattro ore, una buona azione che gli permetta così di salire lassù in paradiso con lei e divenire nel contempo più giovane.
Qui ha luogo uno dei rari momenti azzeccati, con Karloff che, candidamente e ingenuamente declama:
“Ah Cecilia, mia cara, e una volta ancora ce ne andremo dolcemente con la mano nella mano attraverso i campi che odorano di trifoglio e ci godremo la luce della luna nelle calde notti d’estate!”
e lei: “ah! facciamo lavorare un po’ la fantasia, bambino mio, i giovani fanno ben altre cose oggi!”.
La buona azione scelta è quella di neutralizzare i turpi tentativi del suo esecutore testamentario, Reginald Ripper (Basil Rathbone), che all’indomani a mezzanotte aprirà il suo testamento, di eliminare gli eredi designati al fine di impossessarsi del patrimonio del de cuius.
Hiram però è obbligato a rimanere nella cripta, e quindi cercherà di attuare il suo proposito con l’aiuto di Cecilia. Questa, fantasma dal bikini invisibile (da cui il titolo originale, ma il bikini è invisibile nel senso che purtroppo ci si vede attraverso …), pertanto girovaga, gagliarda e risoluta,
per il castello agli ordini del marito, che può vederla tramite un pomo di cristallo, senza che sia vista da alcuno.
Il compito non sarà facile perché, oltre ai tre eredi, il castello sarà popolato da un nugolo di individui, da dei motociclisti ritardati (“rat pack”, comparsi anche in altri beach movie), a dei circensi con annesso scimmione finto, fino a ragazzi e ragazze sempre in bikini che danzano e cantano. Tra di essi c’è Nancy Sinatra (che interpreta Vicky) che canta pure un pezzo, “Geronimo”, e infatti diversi saranno gli intermezzi canterini (alquanto fastidiosi), con il supporto della band “The Bobby Fuller Four”; queste irritanti scenette indeboliscono ancora di più la già esilissima trama, contribuendo a rendere il film pagliaccesco e moscio.
Probabilmente devono averla pensata così sia Boris Karloff, il quale appena li vede esclama:
“E ora queste scimmie che vogliono?”
sia Basil Rathbone, che vedendo ‘sti nullafacenti ancheggianti con quelle buffe movenze, che visti oggi paiono incredibilmente ridicoli, serafico, dice:
“I giovani al giorno d’oggi sono molto nervosi. Riescono a tremare tutti all’unisono!”.
E dunque tutto il film è un disomogeneo, disorganizzato e bislacco susseguirsi di scene di blanda azione, di farsesche lotte, di avvilenti gag da comiche d’altri (gloriosi) tempi, di numeri musicali e di miseri dialoghi e battute.
E la storia? I vuoti di sceneggiatura sono talmente tanti che ci si potrebbe riempire un altro, insignificante film.
Sconfortanti regia (inesistente eppur dannosa), scenografie (tutto di cartapesta e si vede, per non parlare della cosiddetta “camera degli orrori”), trucco (ma quale trucco? un poppante avrebbe saputo far meglio), coreografie (ad opera senz’altro di decerebrati in libera uscita dalla propria scatola cranica) e recitazione, inaccettabile, ad eccezione di Basil Rathbone, che ha forse il ruolo più sfaccettato, un pochino s’impegna ma fa fatica pure lui in mezzo a tanta mediocrità; Boris Karloff ha solamente delle scene con Susan Hart o da solo, il meglio l’aveva già dato …
Le canzoni, prese per quelle che sono e cioè degli innocui motivetti pop, e fuori dal contesto del film, non sono neanche proprio oscene. In più ho un debole per Nancy Sinatra …
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