Regia di Stefano Pasetto vedi scheda film
Esempio di cinema essenziale, emotivo, che scava nel nostro sub inconscio, nelle nostre esperienze di vita per dare un senso agli eventi che si dipanano davanti ai nostri occhi.
Frammenti, oggetti, parole che si intrecciano per ricostruire attraverso una lunga serie di flashback due vite, quella di “lui” giovane operaio con un passato violento alle spalle, e quella di “lei” medico chirurgo; due entità sole, spaesate, dissociate in una Trieste dai colori lividi e desautorati.
Un racconto sull’ossessione della memoria sostiene il regista debuttante Stefano Pasetto, un tentativo di contraddire una struttura melò lasciando aperture e sfasature nei cerchi interni degli eventi.
Un cinema che riducendo al minimo ogni elemento narrativo, punta forte sull’interpretazione dei due attori protagonisti, Barbora Bobulova e Fabrizio Rongione. Ma se la Bobulova si salva con mestiere rendendo il senso di sofferente disagio ed insoddisfazione interiore che la consuma lentamente giorno dopo giorno, Fabrizio Rongione si contraddistingue per una recitazione monocorde e talvolta, troppo spesso, sopra le righe, non aiutato da una sceneggiatura troppo schematica nella sua struttura e dai dialoghi francamente improbabili: “La prima immagine che ho di te è un soffio di inquietudine che attraversa la città”, “La seconda immagine che ho di te, uno sguardo sulla schiena, due colori in fuga...”, “La terza immagine che ho di te è più intima di una radiografia.”
Costruito attraverso una serie di flashback entriamo nelle vite, nei pensieri dei due protagonisti senza però alcun appiglio su cui basare un nostro eventuale interessamento alla loro sorte, senza alcuna compartecipazione emotiva ai destini dei due.
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