Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Troppo altisonante prestare fede al titolo originale, Kingdom of Heaven, con l'equivalente italiano Il Regno dei Cieli? Evidentemente sì, col risultato di doverci accontentare di un bolso e abusato Le Crociate. Detto questo, devo assolutamente premettere che il mio giudizio riguarda soltanto l'edizione Director's Cut del film, che per me è su tutto un altro livello rispetto a quella cinematografica. A chiunque fosse rimasto deluso da quest'ultima, pertanto, suggerisco di recuperarla e concedere una seconda possibilità a Ridley Scott. Sono, infatti, integrati circa 50 minuti di scene aggiuntive ed è alterato il montaggio. Lascio immaginare quanto l'entità di un simile intervento sia in grado di stravolgere, migliorare e rinnovare il risultato in uno profondamente diverso e inedito. Se si escludono l'ouverture e l'intermezzo musicali a sfondo nero, il resto è materiale assai prezioso per lo sviluppo della storia.
Il ripristino di sequenze e sotto-trame, in origine andate perdute, risolve i gravi problemi, soprattutto di logica e di un generico senso d'incompiuto, che attanagliavano l'opera così come comunemente nota. Era stata concepita e voluta in un certo modo, ma distribuita in un altro per rispondere a mere ragioni di durata. A guadagnarci sono il profilo e le motivazioni di tutti i personaggi. Un raffronto preciso necessiterebbe di troppo spazio e tempo. Mi limiterò unicamente a un paio di considerazioni.
L'inizio in Francia, ad esempio, migliora notevolmente. Le ragioni che spingono Baliano (Orlando Bloom) a seguire suo padre Goffredo di Ibelin (Liam Neeson) in Terra Santa sono spiegate in dettaglio e si esplora maggiormente il rapporto fra i due, che appare sotto una luce più credibile, umana. Si apprendono inoltre preziose informazioni sul passato e sulle origini del protagonista, fondamentali per comprendere appieno gli sviluppi futuri.
Altro importante ripristino è senza dubbio quello dell'intreccio sul figlio di Sibylla (Eva Green), con ripercussioni non indifferenti pure sul tempo dedicato a Re Baldovino IV (Edward Norton) e Guido di Lusignano (Marton Csokas). Sostanzialmente confermati, invece, gli spazi del conte Tiberias (Jeremy Irons), dell'Ospitaliere (David Thewlis) e di Salah -al Din (Ghassan Massoud), con minori variazioni (del resto non se ne avvertiva il bisogno, essendo già fra i più riusciti).
Il ritratto nel suo complesso è quindi decisamente più ricco e coinvolgente. L'attrattiva verso i personaggi è mantenuta viva e stimolante. La narrazione, che al cinema appariva talvolta frammentata e forzata, ne esce più lineare e coerente. Sebbene a tratti più lenta, perché riflessiva. Mi sembra si perfezioni addirittura il rispetto e l'aderenza alla verità storica, pur negli innegabili limiti del romanzato. Era lecito pretenderla? Sì. Ma non fu perseguita; è ormai un dato di fatto.
Francia 1184. Baliano, giovane maniscalco, disperato per la perdita della moglie e del figlio ancora piccolo, è sul punto di smarrire anche la fede. Le guerre di religione che sconvolgono la remota Terra Santa gli sembrano lontane anni luce. Ma un giorno il destino bussa alla sua porta sotto le spoglie di un grande cavaliere crociato, Goffredo di Ibelin, barone presso la corte del Re di Gerusalemme, impegnato nel mantenimento della pace. Egli si rivelerà il suo vero padre e Baliano sceglierà di seguirlo nella sua sacra missione.
Molto buone e valide le musiche di Harry Gregson-Williams, con i contributi esterni Valhalla di Jerry Goldsmith e Vide Cor Meum di Patrick Cassidy e Hans Zimmer cantata da Danielle de Niese e Bruno Lazzaretti.
Avrebbero dovuto avere il coraggio di portarlo al cinema nella versione Director's Cut. L'altra è nel dimenticatoio.
A suo agio con le "grandi" storie, non fallisce bensì conferma la sua mano esperta e la sua mente attenta.
Come Baliano di Ibelin consegue un buon risultato, ma ha ancora ampi margini di crescita e miglioramento.
Una Sibylla che colpisce più per il suo fascino e la sua presenza, ma che è comunque capace di una resa discreta.
Si muove in sicurezza e nei suoi canoni, nella parte di Goffredo di Ibelin, padre e protettore. Una garanzia.
Consente al conte Tiberias di emergere dal secondo piano. Ottima prova, bisogna riconoscerlo.
Dimostra la sua levatura con naturalezza e personalità, per nulla impedito dalla maschera di Re Baldovino.
I ruoli positivi di supporto, come questo suo Ospitaliere, son quelli in cui s'apprezza di più.
A lui l'ignobile compito d'impersonare un brutale Reginaldo di Chatillon.
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