Regia di Wang Xiaoshuai vedi scheda film
Inquadrature fisse e assenza quasi totale di musica e montaggio. Le scelte del regista di Le biciclette di Pechino sono giustificate dall’origine dell’opera (dedicata ai propri genitori, testimoni dei fatti). Ossia ricordare il periodo in cui centinaia di famiglie cinesi vennero inviate dal governo nelle fabbriche dell’interno per costituire – siamo nel 1983 – la “terza linea” di difesa dai temuti attacchi dell’esercito sovietico. La diciannovenne Qingjong vive con la famiglia in un villaggio della provincia di Guizhou, cercando di reggere alla severa educazione del padre, che sogna di tornare a Shanghai per garantirle un futuro migliore. Ma la tragedia – l’amore di un operaio locale – è dietro l’angolo. Wang Xiaoshuai, a Cannes in concorso per la prima volta (So Close To Paradise e Drifters vennero selezionati in Un certain regard nel ’99 e nel 2003) ha nobili intenti – mostrare all’Occidente la cecità e i formalismi del regime comunista – ma non evita a questo dramma storico-familiare di appiattirsi su una convenzionalità prevedibile e toni trattenuti, forse esiti di ricordi familiari recenti e dolorosi. La chiarezza dello stile troppo spesso rimane fissità.
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