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Battaglia nel cielo

Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film

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La recensione su Battaglia nel cielo

di maurizio73
7 stelle

Una battaglia nel cielo molto terrena, quella messa in scena da Carlos Reygadas che sembra replicare, nel simbolismo del famoso stemma messicano dell'Aquila e del Crotalo, un conflitto di classe giocato sulla morbosa deriva morale di turpitudini inenarrabili e su quella di una tenzone sessuale utilizzata come sottile strumento di coercizione.

Autista ed aiutante di un ricco generale messicano, Marcos confessa alla spegiudicata figlia di quest'ultimo la morte del neonato, figlio di parenti benestanti, che ha rapito con l'aiuto della moglie. Sconvolto dall'accaduto e convinto a costituirsi dalla ragazza, alla quale è legato da una morbosa dipendenza, l'uomo finirà per reagire in modo tragico ed imprevedibile. 

 

 

Una battaglia nel cielo molto terrena e politica, quella messa in scena da Carlos Reygadas che sembra replicare, nel simbolismo del famoso stemma messicano dell'Aquila e del Crotalo, un conflitto di classe giocato sulla morbosa deriva morale di turpitudini inenarrabili e su quella di una tenzone sessuale utilizzata come sottile strumento di coercizione psicologica e sociale. Se il rigore della sintassi filmica impone quasi come un atto dovuto il ricorso all'alternanza di piani ravvicinati e di una circolarità dei movimenti di macchina che stringono il cerchio attorno alla vittima predestinata di una inevitabile discesa agli inferi, sta nel rapporto tra i personaggi la chiave di una dialettica che ci parla di un dominio economico e politico senza vie d'uscita: l'impietosa rappresentazione antropologica di una subordinazione fisiognomica dove all'avvenenza fisica di una ricca meretrice per diletto si contrappone la ributtante conformazione adiposa di un inconsapevole cavalier servente e della sua matronale signora, laddove le striscianti contraddizioni che innervano un paese dominato dall'impunito autoritarismo della classe dominante finiscono per deflagrare nella manifestazione di un potere che si esercita tanto nei rituali pubblici (marziali, sportivi, religiosi) quanto in quelli privati (economici, sessuali, psicologici). Un panorama sociale insomma di squallore morale generalizzato e di inconfessabili segreti intimi che tende a cristallizare le relazioni umane nelle forme di un instintivo dominio psicologico, rendendo impossibile qualsiasi tentativo di ribellione e di redenzione: l'immondo delitto confessato alla giovane è un proditorio e minatorio vincolo morale da cui la stessa si scioglie immediatamente attraverso le lusinghe del sesso e le esortazioni alla legalità. Più che sull'insistita simbologia del potere, il film di Reygadas si gioca però sul piano di una complessa ed immediata stratificazione di significati: una dimensione storica di ineluttabile condanna alla povertà morale e materiale da cui non si può sfuggire nemmeno nell'estremo tentativo di riscatto, lungo una disperata Via Crucis che dall'ascesa ideale al Golgota conduce al muto pellegrinaggio di peccatori autoflagellanti, stretti nella morsa dei mastini di un Dio molto terreno che con i mitra spianati accerchiano l'ultimo baluardo di una illusoria salvazione celeste.
Il Paradiso può attendere, perchè quello che tocca al disperato protagonista è solo il Purgatorio di una Lolita con i capelli rasta che fa su e giù lungo il turgido alzabandiera dell'ultimo miserabile della Terra. L'impassibilità neolitica di Marcos Hernández e la lasciva bellezza di Anapola Mushkadiz sono il perfetto contraltare antropologico dei loro rispettivi ed omonimi personaggi. In corsa per la Palma d'oro al Cannes Film Festival 2005 e ad altre kermesse in giro per il mondo, finisce per vincere solo il Premio FIPRESCI al Rio de Janeiro International Film Festival 2005: dal bellissmo e sfortunato Eden del Sudamerica è davvero difficile evadere.


Anapola, lindísima Anapola
no seas tan ingrata
Amamé

 

AnapolaAnapola
como puedes tu vivir
tan sola

 

Anapola, lindísima Anapola
será siempre mi alma
tuya sola

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