Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film
Una pellicola profondamente religiosa sul dubbio e il fallimento della moralità. Inizia con un'ouverture che perplime e violenta i sensi, una fellatio con musica classica assortita (forse von Trier l'ha vista per "Antichrist"?). La prima immagine è però la faccia dell'uomo Marcos, freddo e impassibile, che ci fissa. Non capiamo cosa fa (o cosa gli viene fatto) finché non ce lo permette Reygadas, che discende con dispotica lentezza fino alla testa di Ana. Già da una prima inquadratura individuiamo l'immenso crepaccio che separa il particolare dallo sguardo generale.
Sul macrocosmo di un cristianissimo Messico che celebra l'alzata della propria bandiera, l'uomo si lascia andare alla Colpa. Alternativamente alla Colpa carnale e alla Colpa mentale, astratta, quasi metafisica, inconsistente, che si fa aria e atmosfera tumefatta e lercia. Il film di Reygadas è infatti sporco e decadente, vive mostrando una corporeità massiccia e ingombrante, che crolla di fronte alle primordiali incapacità dell'uomo di distinguere non tanto giusto e sbagliato, ma un tipo e un altro tipo di Male. Primordiali incapacità com'è primordiale uno sguardo che riprende cose e persone allo stesso modo, estendendo la visione alla totalità: c'è della complessità fastidiosa a questo mondo, una contemporaneità inconcepibile e insostenibile: l'innocenza dell'infanzia è parallela alla Colpa della carne. Ma la carne non è colpa se l'amore è cristiano, e la famiglia di Marcos, il protagonista, è distrutta da una Colpa mentale, il rapimento e l'involontario omicidio di un neonato. Lui e la moglie fanno del sesso antiestetico e brutto, lui e Ana fanno del sesso crudo ma col corpo bello di lei, che è l'Origine del mondo (citazione superflua). Il corpo umilia la mente, la mente umilia il corpo, l'uomo sta lì in mezzo e sta anche a contenere tutto, ne esce sconfitto.
La soddisfazione mentale è irrangiungibile, è raggiungibile solo la meccanica realizzazione fisica, che porta Marcos a masturbarsi di fronte all'"irreale" equilibrio fra mente e corpo di un giocatore di calcio (c'è il caso di dire mens sana in corpore sano). Allora inizia la ricerca di una catarsi fatta da corporeità e morale (l'omicidio volontario), e poi solo da morale che interviene sulla corporeità (la personale e finale via crucis, il cieco Marcos verso la propria morte, una passante Veronica gli mette un asciugamano sulle spalle nude).
Reygadas ha creato un film per dire l'astratto nella maniera più concreta possibile, ma per questo la narrazione manca di spessore, la storia è creata su misura per tematiche un po' inconsistenti, e alla fine rischia di dimenticarsi della realtà. Se può essere considerato ermetico per ciò che non è detto, è invece sfacciatamente trasparente dal punto di vista cinematografico, e in questo suo assumere un tono alto ed intellettuale rischia il fine a sé stesso. Non è per niente evocativo, e non è il massimo non perché sia disturbante, ma perchè il suo obbiettivo è direttamente il disturbante. Non si è mai visto cinema del genere, sui sensi e sulla mente, che trasfigura le sue intenzioni in maniera così coerente alla sua estetica, ma il suo è un imprudente film "da festival", e il finale, come l'inizio, è un sogno di equilibrio (tra corpo e mente) che non è shock perché è già stato concepito.
Abbiamo perduto la moralità, le campane suonano a vuoto.
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