Regia di Tommy Lee Jones vedi scheda film
Tommy Lee Jones dice di non amare i film di Sergio Leone, trova irritanti gli Spaghetti-Western e trova retorica la musica di Morricone (retorica? Ma dove?). Dice anche che “Le Tre Sepolture” non è un western, ma un film sulla terra e la gente in cui e con cui è cresciuto. Nonostante tutte queste dichiarazione il suo film è un gran bellissimo film western contemporaneo. Legato a Peckinpah solo in pochi punti (il Messico, il cadavere di Melquiades al posto della testa di Alfredo Garcia, certi fiotti di sangue), la pellicola si rifà di più allo stile laconico e da “ultimo grande film” di Clint Eastwood. Un film che stupisce fin dalle prime battute, fin dalle prime scene montate tra loro senza tener conto della continuità temporale, fino a sorprenderci con un finale emblematico e senza fronzoli. Un film asciutto, secco, pulito, senza un filo di retorica né nella regia né nei dialoghi. Non ci sono paroloni nauseanti, siamo lontani anni luce dal didascalismo retorico dei primi western “che facevano nascere una nazione”. Sottilmente politco: l’abuso della legge, il parossismo della vendetta, il desiderio di morire di un vecchio cieco, ma soprattutto la morte di Melquiades. La sua morte, che è violenza, è figlia di una masturbazione mancata. Forse non è così fondamentale in questo caso, ma sostituire, anche se accidentalmente, un’orgasmo sessuale con uno sfogo violento, vuol dire che demonizzare e precludere il sesso comporta lo sviluppo di atteggiamenti violenti. La demonizzazione del sesso è il prodotto infernale di una società povera ed ignorante. Non è di certo il tema fondante del film, ma ci aiuta a vederlo anche sotto un’interpretazione più politica e sociale. In più, è proprio il modulo centrale di “Le Tre Sepolture” ad essere usato per veicolare una critica politica: il gringo paramilitare della Border Patrol che si veste da messicano e supera il confine rocambolescamente, è il contrappasso infernale dei clandestini. Li stessi che ha maltrattato, odiato e deriso nei suoi deliri da uomo-forte-americano-militarizzato. Il suo percorso, che è anche interno e lo si capisce dai paesaggi che nei westen sono il riflesso dei loro personaggi, attraversa gli angoli più caldi della sua anima, scappa e fugge nel suo deserto sterile e improduttivo, nel suo cuore di roccia e pietra rossastra, nei profondi canyon dell suo IO. Arriva alla fine e capisce. Non ci sono grandi parole finali, ma una presa di consapevolezza che leggiamo dall’azione filmata, raccontata davanti ai nostri occhi. Questo è un gran bel cinema, che non spiega nulla e non moralizza nulla. Ed è anche un gran bel western, che Tommy Lee Jones ne dica, ma è un gran bel western.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta