Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film
Lo stesso giorno in cui viene lasciato dall’ennesima compagna, Don (Giovanni, viene spontaneo completare...) riceve una lettera anonima con cui una vecchia fiamma di vent’anni prima gli comunica che aveva avuto un figlio da lui: spronato da un amico emulo di Sherlock Holmes, vince la propria naturale riluttanza a muoversi e si mette in viaggio per visitare le quattro papabili (ce ne sarebbe un’altra, ma è morta) portando un mazzo di fiori a ciascuna. Storia bislacca, grottesca e intrigante, com’è nelle corde di Jarmusch. Si regge soprattutto su una bella prova di Bill Murray, ex seduttore indolente e imperturbabile, preda di fantasmi interiori, che osserva senza nessuna curiosità la vita altrui: è come se il suo personaggio di Ricomincio da capo fosse invecchiato senza redimersi, senza assumersi responsabilità. Le donne andavano meglio differenziate socialmente: perché assegnare alle prime tre la consueta villetta suburbana e solo alla quarta un tugurio? Toccante la breve visita al cimitero dove riposa la quinta, che riceve anche lei un mazzo di fiori come le altre: appunto perché “il passato è passato” (questa è la conclusione enunciata nell’ultima scena), le persone che ne hanno fatto parte si collocano sullo stesso piano e sarebbe ingiusto fare differenze. E la storia finisce opportunamente senza sciogliere l’interrogativo di partenza, perché sarebbe troppo comodo avere tutte le risposte che vorremmo dalla vita.
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