Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film
Sia chiaro: un film come questo in Italia non sarà mai prodotto (tantomeno girato!) da nessuno. Perché? Semplicemente perché si tratta del disfacimento di un cinema al quale siamo ormai abituati: lieto fine, personaggi accomodanti, tentativi di spiegare tutto e ad ogni costo, ecc. Non così Jim Jarmush, l’emblema del cinema indipendente, ha pensato di assecondare il suo affezionatissimo pubblico (dà i brividi la sola visione di gente che fa la fila per entrare in sala), regalandogli un road-movie, ma che ha anche l’intrigo del giallo e la freschezza della migliore commedia.
La storia raccontata in Broken Flower è quella di Don Johnston, un uomo di mezza età, un “dongiovanni in declino”, ricco grazie ad una non meglio precisata attività legata ai computer. Lo incontriamo nel momento in cui la sua fidanzata lo lascia, stanca dei suoi tradimenti e della sua apatia. E come se questa mazzata non bastasse, Don riceve una lettera anonima da una delle sue tante ex, che gli rivela di avere un figlio, ora 19enne, che non ha mai conosciuto. Spinto dal suo migliore amico, Don parte per un viaggio che lo porterà a fare visita alle quattro donne che potrebbero essere la madre del ragazzo, cercando di scoprire la verità sulla faccenda, con la convinzione, però, che “Del passato non posso più fare niente, del futuro non so nulla, mi resta soltanto il presente”.
Lo straordinario Bill Murray, pur rifacendo il vezzo all’altrettanto validissimo Lost in Translation, ma anche a L’uomo che amava le donne di Truffaut, non stanca e non smette di sorprendere, con la potenza del suo solo sguardo sornione, fisso in camera. Il suo viaggio esistenziale diventa lo stesso emblematico viaggio di tutta una generazione, alla quale ognuno appartiene, ormai resasi conto che non può bastare il benessere economico o il godimento dell’età pensionabile (fortunati i Paesi laddove vige ancora tale benessere!) per compensare o colmare quei vuoti che ognuno dovrebbe colmare. La stessa conclusione a cui giunge Don, dopo una forsennata ricerca, è la stessa che gravita intorno ad ogni uomo, a prescindere dal suo credo religioso o cultura in genere: la sospensione e l’inevitabile scontro con la mancanza di qualsiasi forma di consolazione rimane l’unica realtà oggettiva.
Broken Flowers, pur non essendo il miglior film di Jarmush stupisce e stordisce per lo spiazzante finale, forse privo anche di ogni razionalità o evenienza, a cui cotanto cinema italiano e americano ci hanno abituati. Pur non avendo quelle atmosfere surreali di Dead Man o la lucida anarchia di tanti film di Jarmush, specie quelli del primo Jim, mantiene alta la bandiera di un certo cinema a cui, anche se con eccessivo ritardo, i meriti gli sono finalmente riconosciuti: Broken Flowers ha vinto il Gran Premio della Giuria a Cannes 2005. Tuttavia, anche questo film di Jarmush conserva il carattere distintivo del regista: il raccontato in forma episodica, così come avviene in Ghost dog e Coffee and cigarettes; in Broken Flowers ogni episodio ha per protagonista un’amante, ognuna delle quali fa i mestieri più strani (riordinatrice di armadi, specialista in comunicazione animale, venditrice di prefabbricati, ecc). La comicità di questo film è veramente irresistibile, specie nelle scene in cui Don si trova a tavola con Dora e il marito e manda giù, con gran fatica, le carote che sono nel suo piatto, oppure quando si trova a casa di Laura e, mentre è in attesa della sua ex-donna, la figlia Lolita gira nuda per casa, apprezzando “il vestitino che non indossavi prima” come “carino, o infine nel dialogo tra lui e il gatto, quando va a trovare Carmen.
A contribuire maggiormente all’esaltazione di un certo ritorno al passato, grazie al quale non si avverte la nostalgia del futuro, la straordinaria colonna sonora, molto stile anni Settanta, in particolar modo il tema principale, There is an end.
Un film come questo, in tempi come quelli che ci subissano, capitano una volta ogni morte di papa, accentuando l’unica verità: di tanto Cinema come questo se ne potrebbe vedere tanto in giro, basta liberarsi da tanti committenti e beoni, che in nome di quest’Arte sono disposti ad infrangere i sogni di tanti validi cineasti come Jarmush. Disposti a ricongiungere pezzo per pezzo quell’unico fiore che è il Cinema.
Giancarlo Visitilli
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