Regia di Atom Egoyan vedi scheda film
False verità, bugie vere, impulsi che esplodono, erotismi che si scrutano, apparenze che ingannano: è il cinema di Atom Egoyan. L’incipit della sua ultima fatica pare uno Scorsese fuori forma, con la voce fuori campo stonata, la scelta delle musiche non esibita (s’ode, soltanto, Jimi Hendrix), improvvisi scatti d’ira e di violenza (Colin Firth che sembra Joe Pesci), auto, atmosfere, baffi e basette da prima parte di Good Fellas. Guarda caso una delle frasi più significative, messa in bocca all’ottimo Kevin Bacon, suona: «Essere un bravo ragazzo è il mestiere più difficile del mondo, se non lo sei». Ma, a differenza dell’autore newyorchese, Egoyan con i suoi personaggi ci va a letto tecnicamente, perché «niente ha (purtroppo, aggiungiamo noi) significato se non puoi documentarlo». L’ossessione, dunque, abbisogna di approfondimenti, di perlustrazioni profondissime, di dilatazioni temporali (il film è scandito dal Telethon, la maratona televisiva di beneficenza). Ha bisogno di sporcarsi l’anima e di contaminarsi, col rischio di confondersi con altro cinema, con altri immaginari (anche Lynch e Cronenberg). Una donna è morta nella suite, offerta e immolata al divismo di due star della Tv. E i colpevoli non esistono, perché siamo tutti complici. Qui Egoyan è l’Atom che conosciamo, quello che sogna il cuore dei problemi. E ci fa uscire inquieti. Come il cinema deve fare.
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