Regia di Atom Egoyan vedi scheda film
Dopo "Ararat", il suo film più personale e complesso, Atom Egoyan gira un noir erotico ambiguo e fascinoso, torbido e sensuale, enigmatico ed ammaliante. Il titolo più vicino, nella filmografia del regista canadese di origine armena, è senza dubbio "Exotica", il "film striptease" (definizione di Egoyan) che lo ha fatto conoscere al pubblico italiano: sia per il conturbante connubio di mistero ed erotismo, sia per l'ardita costruzione a scatole cinesi in un continuo rimando tra passato e presente. "False verità", tratto piuttosto fedelmente dall'omonimo romanzo di Rupert Holmes (pubblicato in Italia dalla Fandango Libri), non è solo l'ennesimo ritratto del dietro le quinte dello sfavillante mondo dell'intrattenimento televisivo americano degli anni cinquanta e sessanta tra sesso, droga, festini, perversioni e meschinità varie, conquiste facili, ragazze disponibili e ricattatrici, amicizie e relazioni pericolose. In questo senso, il film di Egoyan, pur ineccepibile, giunge a conclusioni conosciute, comunque non nuove. Al centro della vicenda, infatti, ci sono due showman di fama, assai affiatati, Lanny Morris e Vince Collins impegnati in una lunga maratona del Telethon per recuperare fondi a favore della ricerca sulla poliomielite (si dice che lo scrittore si sia ispirato a Jerry Lewis e Dean Martin). "Io ero il piacere e lui il controllo. Io ero il rock and roll, lui classe pura. Non eravamo solo eroi. Eravamo dei. Sdraiare donne e stendere uomini: non c'era niente che io e Vince non avremmo fatto l'uno per l'altro!" Le cose si complicano quando i due vengono coinvolti nell'omicidio di una cameriera, Maureen, trovata morta nella loro stanza d'albergo. Quell'episodio su cui non si è mai fatta luce ha posto improvvisamente fine alle loro fortune, sancendone il divorzio professionale. A distanza di anni una giovane giornalista vuole fare definitivamente chiarezza e riprende contatto con Lanny e Vince, finendo coinvolta in un gioco forse più grande di lei: "stavo per diventare un capitolo del libro di Lanny dopo che lui era stato in tutti i capitoli del mio!". Il film di Egoyan si sviluppa così come un affascinante e lucido teorema sull'oggettiva impossibilità di ricostruire la verità nella sua complessità, nelle sue molteplici, spesso ingannevoli e fallaci sfaccettature. Nel libro infatti si legge: "nel cercare la verità avrei accolto, come fanno i tabloid solo elementi capaci di avvalorare la mia ipotesi di lavoro. Un po’ come i grafici nelle riunioni annuali degli azionisti, la verità può essere tutto quello che vuoi." False verità allora, o come recita lo splendido, doppio e difficilmente traducibile titolo originale, "where the truth lies", ovvero sia dove giace la verità, sia dove mente la verità. Anche queste riflessioni non sono inedite al cinema (da "Rashomon" di Kurosawa a "Snake eyes" di De Palma). La notevole abilità di Egoyan consiste nell'evitare toni didascalici, pomposi e dimostrativi e nella avvolgente fluidità con cui mette in scena un mondo patinato e luminoso fuori, ma marcio e malato dentro, costruendo un puzzle quasi onirico, a metà strada tra Lynch e De Palma appunto, assai coinvolgente, malizioso ed elegante nonostante la scabrosità dei temi. La sceneggiatura è di ferro, assai articolata, non priva di sorprese come il bel finale dalla madre della vittima (uno dei personaggi più toccanti dell'intera opera, tutelata dalla protagonista affinché non conosca la verità, perché potrebbe farle molto male, dopo tutta la sofferenza che ha già patito per la morte mai risolta della figlia). Il cast è in gran spolvero. Se Kevin Bacon, dopo "Mystic River" e "The Woodsman" conferma una certa dimestichezza con ruoli inquieti, Colin Firth rivela un inatteso lato dark e brutale (si veda la violenta scena in cui pesta a sangue uno spettatore che aveva osato definire giudeo il suo collega). Seducente e determinata infine Alison Lohman, novella Alice in un paese che è tutto fuorché delle meraviglie. "In questo film c’è tutta la magnifica ossessione di immagini/segni che ritornano, come la sessualità morbosa, come la mutazione del corpo e come soprattutto la presenza di schermi video – gli sketch dei due comici visti attraverso lo schermo del televisore – dove l’ambiguità dell’inquadratura, di ciò che si vede, assume ancora una volta una posizione predominante. C’è un’immagine da una parte e un occhio che la osserva. Un occhio non oggettivo, ma un occhio che la può mutare." (Simone Emiliani) Non un capolavoro come "Il dolce domani" che aveva portato Egoyan alle soglie dell'Oscar, ma la conferma dello stile personalissimo ed incisivo di un autore capace di realizzare un onesto, intrigante e mai banale prodotto di genere che si pone ben al di sopra della media corrente. Frase da ricordare: "Dover esser un bravo ragazzo è il lavoro più difficile al mondo se non lo sei!" In concorso al Festival di Cannes del 2005. Musiche e fotografia dei fidati Mychael Danna e Paul Sarossy. Voto: 7+
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