Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
Una coppia di balordi, che vivono di furtarelli ed elemosine, mette al mondo un bambino; ma lui lo vende all’insaputa di lei, che lo denuncia. Guardo sempre poco volentieri i film dei Dardenne: un po’ perché mi provocano un senso di malessere e un po’ perché, tutto sommato, mi sembrano solo un onesto aggiornamento del neorealismo all’estetica e alle nuove povertà del 2000. Come già in Rosetta e come poi in Il matrimonio di Lorna, questa è la storia di una persona moralmente degradata che recupera la propria umanità; a differenza che in quegli altri due casi, però, il suo cammino di redenzione non è tale da suscitare la partecipazione emotiva dello spettatore. In soldoni: anche quando Bruno viene messo di fronte alla mostruosità del gesto che ha compiuto, non solo non mostra alcun segno di pentimento ma neanche si rende conto della gravità della cosa (“Che t’ho fatto? ne facevamo un altro”, è l’unica ributtante obiezione che sa muovere a Sonia); quando invece accumula un debito enorme con una banda criminale, quando si vede abbandonato da tutti e quando i suoi espedienti per sopravvivere vanno a vuoto (non riesce più nemmeno a scippare una vecchietta), soltanto allora decide che è meglio per lui andare in galera. Alla fine erompe in un pianto liberatorio, certo; ma trovo molto più toccante la dignitosa, vibrante fermezza della sua compagna nella scena in cui lo caccia di casa per proteggere il bambino.
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