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A History of Violence

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su A History of Violence

di giancarlo visitilli
8 stelle

“L’ereditarietà della violenza” potrebbe essere una sorta di summa che racchiude in poche parole A History of violence, l’ultima fatica del regista canadese, David Cronenberg, in concorso al festival di Cannes 2005, clamorosamente ignorato dal Palmares.
Si tratta di una storia, tratta da un fumetto di John Wagner, di inevitabile violenza, che a differenza di quella tipica del cinema di Tarantino, si situa a metà strada tra il noir introspettivo e il western-dark, che sorvola La mosca, supera Videodrome, e non si divide dagl’Inseparabili, lasciandoci come in Spider nella fitta rete del male oscuro.
A History of Violence, già singolare nel titolo, racconta la vita di una tranquilla ed affiatata famiglia di una delle tante middletown americane. Un padre, Tom Stall (un, come sempre, eccezionale Viggo Mortensen), è un uomo dolce e riflessivo ed ha una bella moglie e un figlio. La tranquillità famigliare sarà sconvolta da una rapina ad un fast food gestito da Tom; lui riuscirà a cavarsela con uno sparo sul piede, non si salveranno invece gli spietati rapinatori dal tempismo e della reazione di Tom. Questo evento trasformerà Tom in un piccolo eroe mediatico americano, coinvolgendo in tale cambiamento anche la vita della sua famiglia, fino ad una sconvolgente rivelazione.
Del cast, tutto decisamente interessante, fanno parte l’impeccabile Ed Harris e l’altrettanto straordinario William Hurt, che insieme agli altri, contribuiscono a caratterizzare questo film per eccesso d’interpretazione. Tuttavia, Cronenberg predilige l’essenza e il minimalismo di un cinema che ormai s’è troppo ridotto ai grandi fasti, senza che molte volte riesca a dire più nulla. L’abilità narrativa e l’asciuttezza contenutistica rappresentano, a tal proposito, la sola “violenza” a cui si abbandona Cronenberg. Il suo messaggio, al contrario, è chiaro: l’impossibilità di uscire da quel circolo vizioso e assolutamente coinvolgente della violenza. Ne siamo parte, protagonisti, tanto che la soggettiva di Tom coincide sempre con quella degli spettatori, assolutamente indispensabili per perpetuare quella che da lui stesso è descritta come una sorta di “religione della violenza”. Anche i luoghi (meriterebbe l’Oscar la fotografia di Peter Suschitzky), soprattutto gli interni, fomentano quell’aurea dark e assolutamente nichilista, da rendere impossibile l’evitamento della claustrofobia.
A History of violence, comunque, è un film fortemente diverso rispetto ai titoli più noti di Cronenberg, pur essendoci un’aderenza allo stile e ai temi che hanno reso celebre il regista canadese.
Fra i film che hanno raccontato in questi ultimi anni la violenza, A History of violence, è uno dei più duri atti d’accusa all’America d’oggi, alla sua cultura capitalistica, al suo arrogarsi il compito di guardiana della sicurezza. Si tratta di una metafora di quell’incubo-sogno americano, che ormai coinvolge tutta l’umanità.
Una violenza che coinvolge finanche la sessualità: straordinaria la sequenza in cui Tom trascina sulle scale la moglie per farci lì sesso. L’illuminazione naturale qui funziona talmente bene dal sentirsi coinvolti col proprio corpo che, alla maniera cronenberghiana, si raddoppia sensorialmente in due personaggi che, come nel bellissimo finale del film, hanno tante cose da dirsi, semplicemente col silenzio.
Giancarlo Visitilli

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