Regia di Fernando Di Leo vedi scheda film
TORINO FILM FESTIVAL 38 – BACK TO LIFE
“Avevo vent'anni...Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”.
Parole dello scrittore e filosofo Paul-Yves Nizan.
Fernando Di Leo prende spunto da questa dichiarazione, per dare un titolo a quella che diventerà la sua opera più travagliata e censurata, una delle sue più note (ma non certo una delle sue più viste), e, parere personale, anche uno dei suoi film più modesti.
Le giovani, bellissime ventenni Lia e Tina, bionda la prima e bruna la seconda, come due veline d'antan, si conoscono in spaggia assieme ad un gruppo di coetanei, e si ritrovano sole, quando tutti sono tornati a casa, decidendo così di viaggiare assieme in autostop verso Roma, ove intendono stabilirsi in una comune per giovani senza fissa dimora.
Durante il viaggio la loro esuberanza, unita alla prorompenza decisamente fuori del comune, le galvanizza a procurarsi ciò di cui necessitano, anche infrangendo la legge, dichiarandosi al mondo come “belle, giovani ed incazzate”.
Giunte alla comune, cercheranno di familiarizzare con tutta quella fauna folkloristica e bizzarra di personaggi fuori ogni schema, dagli sballati ai tossici, fino a che una retata della polizia le spingerà alla fuga.
Fermatesi a pranzare in una trattoria periferica, le due verranno avvicinate da una banda di balordi, violentate e giustiziate con una brutalità inaudita.
Di Leo era fermamente convinto di fare il botto con questo film, a partire dal successo che, in quei fine anni '70, le due attrici protagoniste, Gloria Guida e Lilli Carati, stavano vivendo.
Poi quel finale brutale e anche un po' appiccicato li in modo autolesionistico, già a Di Leo fece comprendere come si fosse dimostrato troppo azzardato, almeno per garantire quel passaparola che certamente il film avrebbe avuto, con un epilogo più conciliante.
Ci pensò la censura a stravolgere il finale, tra tagli e modifiche di montaggio, che tuttavia arrivarono tardive per dare al film il rilancio che potesse garantirgli quel successo tanto ambito e di fatto prevedibile.
Mortificato da una musica puerile e da una canzoncina ripetitiva e ridanciana, Avere vent'anni è certamente un(o) (s)cult, ma anche un brutto film a tutti gli effetti: recitato malissimo anche dalle due bellissime attrici, doppiate peggio, colmo di personaggi appena tratteggiati e senza alcuna profondità o spessore, Avere vent'anni si dimostra una clamorosa débacle, in capo ad un autore al contrario assai dotato, che ha saputo toccare livelli di culto (basti pensare alla nota “trilogia del milieu”, con i tre notevoli poliziotteschi Milano calibro 9, La mala ordina, ed Il boss, ma non è stato esente, nella su versatile carriera, da simili deludenti risultati controversi se non qualitativamente assai modesti.
Merito comunque del TFF di aver riportato alla luce la censuratissima versione originale, che non aggiunge purtroppo valore all'opera, ma ci fornisce almeno una versione come integralmente pensata dal Di Leo.
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