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Avere vent'anni

Regia di Fernando Di Leo vedi scheda film

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La recensione su Avere vent'anni

di chinaski
7 stelle

Fernando di Leo era uno che con il movimento hippy aveva poco o nulla a che fare, questo gli ha permesso uno sguardo esterno, distaccato e critico, che è andato a scardinare le ipocrisie di un’utopia che nel nostro Paese, come molte altre, è stata convertita in un forma di sfruttamento (la droga, il sesso, l’apparente vita in comune). Un elemento, però, ha un potere assoluto all’interno della pellicola: i corpi di Lilli Carati e Gloria Guida, che si spostano magnifici negli ambienti che attraversano, consci del loro magnetismo. Lilli Carati ripete – sono bella, giovane e incazzata – che suona come un inno di guerra contro la società borghese e l’universo maschile. Le due ragazze si svegliano su una spiaggia, fanno un bagno seminude e poi cercano di arrivare a Roma in autostop, senza un soldo. I loro movimenti, i loro gesti, la loro spregiudicatezza (un pacchetto di Marlboro per un pompino) incrinano ogni certezza di chi le incontra. Arrivate in una comune, guidata da un sedicente guru (in realtà un informatore della polizia), le due ragazze iniziano a mettere in crisi le regole e le abitudini di chi ci vive, soprattutto attraverso il sesso. Di Leo è molto cinico nei confronti dell’idea di una comune, ci sono solo ragazzi luridi che dormono in una stessa stanza, la maggior parte rincoglioniti dal fumo, un uomo con il volto pitturato che medita in continuazione, lontano da tutto, anche da se stesso, Lilli Carati c’ha voglia di scopare e non riesce a trovare un cazzo che la soddisfi, ha un incontro lesbico occasionale con Gloria Guida, ma lei non vuole questo, vuole un corpo di uomo che la faccia sentire viva. Di Leo riesce a catturare in maniera sincera la sensualità e l’esplosiva carica erotica delle due giovani, non se ne approfitta, appoggia pienamente il loro desiderio di emancipazione e libertà, ma da uomo, sa bene, quanto le energie e le pulsioni sessuali innescate dai loro atteggiamenti possano diventare distruttive, se non controllate. Dopo un’irruzione della polizia nella comune e il successivo interrogatorio, che servono al regista, per spiegare, tra genere e didascalia, le forme di controllo dell’epoca e per tracciare un sottotesto storico (le bombe, la politica, la droga come annullamento dello spirito di rivolta), le due ragazze vengono rispedite ai loro paesini di origine. Nel viaggio di ritorno si fermano in un ristorante ed iniziano a ballare in maniera provocante davanti ad un gruppo di uomini. Ecco allora che esplodono le forze sotterranee e irrazionali, l’energia sessuale maschile non trasformata in un orgasmo o in un coito diventa violenza, si arriva così ad un tragico e atroce finale, con le due ragazze inseguite per i boschi, di notte, catturate come prede, torturate, violentate ed uccise. Il sogno di amore, sesso, libertà ed emancipazione, per di Leo, è un incubo prima di tutto sociale e poi umano. Questa utopia viene costantemente denigrata, perché mostrata sempre in maniera grottesca o stereotipata, l’unica bomba che il regista fa esplodere sullo schermo è quella della carica erotica, una bomba piazzata in una società sessuofoba e moralista, cattolica e castrante. I risultati, infatti, sono devastanti. Ed oggi, che il sesso ha perso ogni connotazione rivoluzionaria, diventando uno strumento stesso del Potere (la pornografia, la televisione, la pubblicità) la miccia innescata da Di Leo non potrebbe più deflagrare. Oltre a questo c’è anche una visione pessimistica e nichilista dell’esistenza o forse di grande consapevolezza di come le idee e le energie  della gioventù, con il tempo, siano destinate a svanire. Avevo vent’anni – scrive Paul Nizan - Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita. Forse perché non hai mai avuto le forme di Gloria Guida e Lilli Carati.

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