Regia di Wim Wenders vedi scheda film
La notizia buona è che Wenders ha deciso di compiere un salutare salto nel passato remoto della sua carriera, tornando idealmente ai fasti di Falso movimento (1975) e delle pellicole di quel periodo, con un nuovo lavoro sul genere on the road esistenziale. E sempre con un occhio di riguardo al cinema, mettendo al centro della storia un attore. Per rincarare la dose, poi, scrive questo Non bussare alla mia porta con il protagonista Sam Shepard, lo stesso di Paris, Texas (1984), altro lavoro idealmente debitore delle atmosfere e dei contenuti delle prime opere di Wenders; rispetto al film di venti anni prima, qui c'è una trama più risolta, più compiuta e ben delineata, ma allo stesso tempo anche più ironica e capace in certi momenti di sdrammatizzare per evitare la retorica da polpettone. E ora i limiti del progetto: alla luce di quanto appena detto, si capirà che Non bussare alla mia porta è tutto tranne che un lavoro originale o dotato di particolari, nuovi richiami per il pubblico; si dirà che un fan di Wenders non chiede nulla di più e già gode della riproposizione dei soliti miti della fuga, della libertà, della fantasia: e infatti il film di per sè funziona, ma non ha realmente nulla da dire che già non si sappia a perfezione, soprattutto se un po' si conosce il cinema del regista tedesco. Sam Shepard, Jessica Lange e Tim Roth sono ineccepibili; la fotografia di Franz Lustig sfrutta adeguatamente un copione colmo di spazi aperti e scenari malinconici (come a sottolineare che la provincia è in fondo un luogo dell'anima). Nomination per la Palma d'oro a Cannes. 5,5/10.
Un attore avanti con gli anni, stressato dalla monotona prigione del set, fugge alla ricerca del figlio abbandonato in una cittadina di provincia ormai trent'anni or sono. Ma la produzione del film gli mette un avvocato alle calcagna.
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