Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Uno sguardo sull'America e sul mito. Wenders qui ritrova se stesso e ci regala emozioni profonde e figurine indimenticabili che si stagliano indelebili su scenari mozzafiato di una provincia senza storia e senza futuro. Un film davvero molto bello da sostenere a spada che è anche una formidabile lezione di stile e di misura.
Uno sguardo sull'America e sul mito. Wenders ritrova se stesso con l'ottimo"Don't Come Knocking" regalandoci emozioni profonde e figurine indimenticabili che si stagliano indelebili su scenari mozzafiato di una provincia senza storia e senza fututro. La macchina da presa mobile e scattante, avvolge i personaggi, li accarezza, li circonda fino a diventare vorticosa, li segue, li pressa da vicino per mettere a nudo inadempienze e inadeguatezze in questa storia di occasioni perdute, di fallimenti non riconosciuti nè ammessi, di vite al massimo che non sono riuscite a compensare il nulla interiore, di molte cadute, di tante carenze ed egismi (non solo affettivi), di una miopia eccessiva che ha fatto perdere le occasioni, di un tempo implacabile che scorre impietoso sempre più in fretta, inchiodando alle proprie responsabilità oggettive, alle proprie negligenze, una generazione deresponsabilizzata e sterile con un bilancio ampiamente in perdita e che in qualche modo vorrebbe adesso, prima che sia davvero troppo tardi, cercare di colmare quei "vuoti" che stanno diventando insopportabili. Una "visione" crudamente poetica che amplifica il senso di vertigine di figli sconosciuti, abbandonati alle proprie solitudini "che non vogliono più continuare a cadere" o che si aggirano disperati e caparbi alla ricerca di se stessi e alla ricomposizione della propria identità portandosì appresso l'unica traccia ormai rimasta (l'urna con le ceneri della madre morta) - bellissima e folgorante intuizione!!! E' tempo di bilanci, fra fughe impossibi e altrettanto improbabili ritorni, per tentare di metabolizzare le propie cocenti sconfitte, in questo affresco tormentato che evidenzia le fragilità, le inadempienze di chi non ha saputo crescere e si ritrova improvvisamente vecchio senza essere stato davvero "uomo", ed ha rifiutato per troppo tempo di assumersi responsabilità e doveri (di "umanizzarsi" insomma), ed è ancora infarcito così tanto di egoismo a senso unico, che gli rimane comunque difficile, quasi impossibile nonostante gli sforzi, la costruzione di un rapporto qualsiasi, la rimonta, la ricomposizione insomma di quei cocci sbriciolati difficilmente riassemblabili perchè con troppe parti ormai polverizzate e disperse dal vento in quelle immense praterie senza fine, in quei deserti rossastri e rapinosi che si allungano sull'orizzonte. Ma è tempo anche di "crescere" per quei figli "abbandonati" e sperduti, tanto delusi e rancorosi da rifiutare persino il confronto, che si rifugiano impauriti in una sterile rabbia distruttiva che riuscirà forse in qualche modo ad creare una breccia per tentare un inizio di umanizzazione del rapporto, aprendo così le porte per riconquistare per lo meno una parte delle propie identità incompiute. Un road movie tutt'altro che nostalgico, un drammatico scontro generazionale che sfiora la catarsi, sullo sfondo di ridondanti immagini di struggente bellezza. Tutti a posto gli interpreti, con una menzione speciale per Jessica Lange (strepitosa nella sequenza della "toccata" -con bacio- e "fuga" consapevolmente critica da un passato che non può più essere riattualizzato, ormai troppo lontanto per essere anche semplicemente immaginato) come al solito impeccabile e che una volta di più, dà una formidabile lezione si tile e di misura. E quanta sommessa nostalgia nel ritrovare la grazia suadente e sfiorita, ma ugualmete fascinosa, della grandissima Eva Marie Saint!.
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