Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Seconda tappa della trilogia americana di Lars von Trier, dopo Dogville e prima di Wasington (non è un refuso). Cambia la protagonista, Bryce Dallas Howard al posto di Nicole Kidman, ma non l’impostazione scenica e drammaturgica. Mentre sta tornando in città col padre gangster, la nostra Grace finisce in un paese, Manderlay, dove i neri sono schiavizzati dai bianchi come da copione. La ragazza, sensibile come può essere chi ha appena sterminato una comunità invocando l’occhio per occhio, chiama a raccolta la teppaglia del padre e a suon di mitra inculca ai paesani d’ogni colore la democrazia. Sarà, l’affrancamento forzato, vera libertà? Tre i nuclei tematici nel nuovo film dell’anarchico danese: 1) l’ipocrita interventismo “umanitario” Usa, come in Iraq; 2) la schiavitù dei neri come grande argomento rimosso della cultura americana; 3) l’immaturità della comunità afroamericana come precisa responsabilità dei bianchi. Sul punto 3 Spike Lee e John Singleton, che odiano il piagnisteo della loro gente, avrebbero parecchio da ridire, ma lasciamo perdere. Manderlay è declamatorio, schematico, provocatorio, denso, moralista, scorretto, scomodo come sempre von Trier. Il suo talento è fuori discussione, il fatto che il suo cinema sia ancora necessario molto meno.
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