Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Se a livello formale le provocazioni di Von Trier ormai non stupiscono più nessuno e rischiano di annoiare (in questo caso l'assenza di scenografie e oggetti di scena, già sperimentata nel film precedente, va bene giusto per fare da spunto per la pubblicità della Scavolini), contenuti e morale sono altisonanti.
La questione razziale: Von Trier, danese a cui piace però lavorare con star americane, si erge a giudice moralizzatore degli USA contemporanei.
L'America dei bianchi non è ancora pronta per integrarsi con i neri, ma i neri sono pronti alla democrazia?
Senza dubbio tutto il disprezzo del regista non va agli schiavi di colore, nè ai padroni terrieri, ma alla povera e ingenua Grace, che tenta di fare del bene e di far assaporare un po' dell'American Dream ai più sfortunati, ottenendo però solo risultati opposti alle sue intenzioni.
Dunque la democrazia è un bene importante, ma anche un'arma a doppio taglio se conservata in mani fragili e inesperte. Von Trier, tanto per cambiare, non va proprio per il sottile, e lo dimostrano alcune sequenze come quella in cui uno schiavo vede negarsi il diritto di ridere per non infastidire le altre persone, ed esclama dubbioso "è questa la democrazia?".
Von Trier è cinico, pessimista e pure nichilista: la schiavitù non va bene, ma nemmeno dare la libertà a chi non l'ha mai posseduta, poichè si sa, la natura umana è malvagia e scorretta, c'è poco da fare.
Non si intravedono soluzioni, non che fossero richieste per carità, ma almeno era lecito pretendere un po' più di lucidità.
Nell'insieme "Manderlay" è un film che merita di essere visto e discusso, ma dimostra che Von Trier è forse più confuso dei suoi personaggi.
Un plauso a Bryce Dallas Howard, che da una prova straordinaria, e coraggiosa, di certo non inferiore a quella di Nicole Kidman. Alla faccia della riserva.
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