Regia di Francesco Munzi vedi scheda film
Saimir è un ragazzo albanese che vive col padre in un'imprecisata località nei pressi di Roma. Tra lavori leciti e illeciti, il giovane immigrato tira avanti covando un'insoddisfazione crescente nei confronti delle condizioni di vita che è costretto a sopportare. Un giorno conosce una ragazza italiana e inizia a uscire con lei, ma la sua precipitosa euforia finisce per spaventare la coetanea che si dilegua prontamente. Coinvolto nel raggiro di una ragazza destinata alla prostituzione, la rabbia di Saimir raggiunge livelli di guardia... In attesa di vedere "Il resto della notte", mi sono rivisto "Saimir", convincente esordio alla regia di Francesco Munzi. Laureato in scienze politiche e diplomato in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, il giovane cineasta romano (classe 1969) sa come dare caratura morale al suo sguardo. Messa in scena asciuttissima (macchina a mano "dardenniana", luci naturali, suono in presa diretta) e narrazione quintessenziale fanno di questo film uno splendido esempio di cinema etico che rifugge spavaldamente le formulette spettacolari e le soluzioni consolatorie.
Nel comportamento di Saimir (il bravissimo Mishel Manoku) si intrecciano moventi diversi: non c'è soltanto brama di giustizia e uguaglianza, ma anche e soprattutto (per fortuna) rancore, egoismo, disprezzo, desiderio e paura. Tutto compresso in un personaggio ombroso, opaco, pieno di spigoli (nella sua camminata caracollante si alternano scontrosità, mestizia, strafottenza e spaesamento). Qualche stecca qua e là (Vivaldi che fa capolino durante la sequenza del saccheggio) e qualche stridente consequenzialità (appena mollato dalla ragazza, Saimir fa il salto di qualità criminale) non compromettono la tenuta di un film che si prende il rischio di guardare la realtà dal controcampo straniero. Ver(istic)amente.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta