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Fraülein Doktor

Regia di Alberto Lattuada vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Fraülein Doktor

di degoffro
8 stelle

“Supera in fantasia, precisione e coraggio qualsiasi uomo in qualsiasi frangente. Ha solo due debolezze ma in dosi accettabili: umanità e morfina.
A due anni distanza da “Matchless” (in mezzo ha girato “Don Giovanni in Sicilia” da Brancati), Alberto Lattuada torna al film di spionaggio. Se però la precedente opera era una parodia ingenua, pretestuosa, a tratti simpatica ma piuttosto svogliata (per stessa ammissione del regista) dei film alla 007 (non a caso, tra gli interpreti, figurava anche il cattivo Donald Pleasance), in “Fräulein doktor” il regista realizza una spy story tradizionale, la arricchisce disinvoltamente con vigorosi elementi di film bellico pennellato di quasi horror e sapienti accenni di melodramma, la condisce con un pizzico di provocante e sensuale erotismo (il flashback che coinvolge la protagonista con la dottoressa Saforet, sedotta ed ingannata per rubarle la preziosa formula di un gas micidiale) e declina il tutto ai suoi interessi. Protagonista, infatti, è un’affascinante, emancipata ed astuta spia tedesca in gonnella, abile nel sedurre indifferentemente uomini e donne pur di raggiungere i suoi obiettivi. Per la seconda volta in carriera alle prese con una grossa produzione internazionale, dopo il riuscito “La tempesta” (entrambi i film prodotti da Dino De Laurentis, girati in Yugoslavia e baciati da un notevole riscontro di critica e pubblico), Lattuada conferma, se ce ne fosse bisogno, la sua straordinaria abilità nel confezionare agili, sontuosi ed accattivanti prodotti di intrattenimento dalla notevole eleganza formale e dal forte impatto emotivo (non gli riuscirà altrettanto bene con il kolossal televisivo dedicato a “Cristoforo Colombo”). In “Fräulein doktor” l’intreccio narrativo è costituito da episodi autentici, ma a Lattuada e ai suoi collaboratori (il film è stato scritto dal regista con Vittoriano Petrilli, Duilio Coletti, Stanley Mann e H.A.L. Craig) non interessano né la verità storica (molte sono le concessioni romanzesche) né i toni didascalici e pomposi di un banale film pacifista (sebbene non manchino, nel contesto del racconto, fugaci riflessioni sulla follia e la disumanità della guerra). Il regista punta esplicito allo spettacolo e, su questo fronte, vince alla grande. In questo senso basterebbe la celebre, lunga ed atroce sequenza finale della battaglia di Ypres con il gas asfissiante, realizzata davvero come Dio comanda: 12 giorni di riprese, tremila comparse, cinque macchine da presa, cavalli addestrati ad indossare maschere antigas. A questo proposito così scrive Alessandro Faccioli nel fondamentale volume “Alberto Lattuada” a cura di Adriano Aprà (edizioni Marsilio, pag. 234/237): “Non si era mai vista nel cinema italiano prima del 1969 una rappresentazione degli orrori della Grande Guerra, dell’utilizzo spietato di armi non convenzionali e delle ragioni di stato che, scavalcando l’eroismo da cartolina, piegano senza scrupoli ogni parvenza di fair play. (…) A colpi di zoomate, dettagli osceni, soggettive dal binocolo e inquadrature dall’alto che rivelano la natura di formicaio del campo di battaglia, si mette in scena l’agonia apocalittica del milite senza nome, la cui pelle devastata brucia non riuscendo a trovare conforto nel fango né via di scampo nel legittimo e disperato tentativo di fuga.” Forse però è l’ultima toccante scena, quando il riso isterico della protagonista si tramuta, in un attimo, in pianto disperato, a rivelare quello che avrebbe potuto essere il film se solo il regista avesse avuto più coraggio nell’approfondire la complessa e tormentata condizione psicologica di Fräulein Doktor, “un incrocio perverso di qualità luciferine, vera sintesi della spia realmente vissuta, di Mata-Hari, Arsène Lupin e Fantomas” (Alessandro Faccioli), una donna morfinomane che ha fatto della menzogna, della finzione, dell’illusione, dell’ambiguità e dell’inganno l’arte della sua vita di spia, in un contesto spietato, crudele, cinico, spesso disumano, costretta a sacrificare, forse con dolore e rimpianto, tutto il resto (come fa intuire lo struggente finale, sebbene l’acerba Suzy Kendall non dia una mano al regista che infatti voleva un’interprete che gli garantisse maggiori potenzialità come Samantha Eggar). Un mestiere pericoloso, prettamente maschile, visto da una ravvicinata, quasi intima, ottica femminile: materiale perfetto per Lattuada che si accontenta invece di una messa in scena intelligente, scorrevole ed efficace ma forse, a conti fatti, un po’ troppo superficiale e limitata dalle convenzioni del genere. Anche così comunque “Fräulein Doktor”, arricchito dalle notevoli e commoventi musiche di Ennio Morricone (collaborerà con il regista anche per il sottovalutato “Così come sei”), è un film che può solo far rimpiangere il nostro glorioso cinema del tempo che fu. Piccola partecipazione per un giovane Giancarlo Giannini, poi protagonista assoluto per il regista nel misconosciuto “Sono stato io!”. Sullo stesso personaggio nel 1936 era già stato realizzato da Georg Pabst il film “Mademoiselle Docteur” con Dita Parlo nel ruolo della protagonista.
Voto: 6/7

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