Regia di Franco Zeffirelli vedi scheda film
Dopo le versioni di Rossellini, Michael Curtiz e Liliana Cavani, è Franco Zeffirelli a proporre la sua personale rilettura cinematografica della vita di Francesco d'Assisi (da poco prima della sua conversione fino all'udienza che gli concesse a San Pietro papa Innocenzo III), allestendone una glorificazione di spettacolare fascino visivo e riaggiornandone l'interpretazione delle gesta e del pensiero in un'insolita chiave hippy, accostando le "contestazioni" del poverello d'Assisi contro la società del tempo (trasfigurandone l'urgenza sociale in urgenza spirituale) con le coeve manifestazioni di protesta dei movimenti giovanili e dei "figli dei fiori" e le stesse istanze di amore per la natura, di ricerca mistica, di rigetto dei lussi della vita terrena, di fratellanza e di non violenza. Nel passaggio dallo Shakespeare dei brillanti La bisbetica domata e Romeo e Giulietta a san Francesco, però, il cinema di Zeffirelli mantiene intatto il gusto per la sontuosità e lo sfarzo della messinscena ma smarrisce nel manierismo e nell'agiografia la vitalità dell'ispirazione. Il copione, scritto dallo stesso Zeffirelli insieme a Suso Cecchi D'Amico e Lina Wertmüller, oltre al Kenneth Ross che in seguito si specializzerà in thriller spionistici (Il giorno dello sciacallo, Dossier Odessa e Black Sunday tra i suoi futuri script), infatti, alla lunga si rivela inconcludente sia nell'esprimere le più intime pulsioni alla base della traumatica conversione di Francesco, sia nel tratteggiare le complesse dinamiche della cornice storico-politica dell'epoca, divenendo addirittura stucchevole nei suoi eccessi estetizzanti, che finiscono per impoverire e raggelare anche la grazia delle suggestioni visive. Girato prevalentemente, per gli esterni, tra l'Umbria e la Toscana (tra Montalcino e la Val d'Orcia, San Gimignano, Gubbio, Castelluccio di Norcia e la cascata delle Marmore), il film è sorretto dalla lodevole magniloquenza registica di Zeffirelli e per questo possiede una sua indubbia ed evidente cifra stilistica, anche se ne smarrisce banalmente l'adeguata misura dei toni e l'incisività poetica. Restano, naturalmente, il meraviglioso impasto di luci e colori della fotografia di Ennio Guarnieri, le scintillanti scenografie curate da Lorenzo Mongiardino e Gianni Quaranta, i costumi di Danilo Donati, la colonna sonora folk di Donovan (ma le musiche della versione italiana sono curate da Riz Ortolani, che affida le canzoni composte dal cantautore scozzese alla voce di Claudio Baglioni), qualche pregevole cameo tra gli interpreti (Valentina Cortese, Alec Guinness, Adolfo Celi), oltre ad un impeccabile Lee Montague nel ruolo di Pietro di Bernardone, il padre di Francesco, e ai due protagonisti esordienti, Graham Faulkner (Francesco) e Judi Bowker (Chiara).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta