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Battle Royale

Regia di Kinji Fukasaku vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Battle Royale

di alan smithee
6 stelle

34 TFF – COSE CHE VERRANNO

Battle Royale è un film di culto giapponese, nonché l’ultimo diretto da un regista piuttosto noto in patria, Kinji Fukasaku, e tratto dall’omonimo romanzo post apocalittico e di fantascienza distopica di Koushun Takami, risalente, a quello che si può accertare, al 1996, anche se in realtà non fu mai pubblicato prima del 1999.

Mi accanisco su questa data perché la storia, le situazioni, i presupposti, sono clamorosamente i medesimi del romanzo (con ben due seguiti!) di Suzanne Collins, capostipite di una tetralogia cinematografica campione di incassi che è Hunger Games.

La quale invece, con eclatante svergognata disinvoltura, dichiara di essersi ispirata nella sua saga ad un banale episodio accadutole mentre faceva zapping televisivo, riuscendole sempre più difficile discernere le notizie vere dei tg, da quelle costruite dei reality show: balle, lo sappiamo e ce ne rendiamo conto non appena approcciamo questo Battle Royale, debitore pure lui come Hunger Games, ma in misura minore o più sfumata – bisogna ammetterlo – di capostipiti insuperabili della fantascienza distopica più buia, se non tetra e sadica, come Rollerball.

Il contesto di questo film, sceneggiato dal figlio del regista, Kenta Fukasaku e dalla star Takeshi Kitano, è una società giapponese oppressa dalla crisi economica, e nella quale la disoccupazione, elevatasi a quote superiori al 15% (quindi più o meno come da noi oggi) rende la classe sociale più giovane e vittima di questa piaga, insofferente e tendente ad organizzarsi in movimenti di protesta che seminano scompiglio e distruzione con atti di vandalismo e sommosse organizzate.

In questo contesto, al fine di decimare o quanto meno controllare la classe sociale che si avvia a finire l’età scolare, viene deciso dal governo centrale che ogni anno una classe superiore viene estratta a sorte e costretta a giocare ad una vera e propria lotta di sopravvivenza: la classe prescelta viene portata in un’isola disabitata, vengono assegnati zainetti di sopravvivenza ad ogni alunno, ognuno dotato di cibo di sussistenza e di armi, serie o fasulle, estratte a sorte dal destino di ognuno dei partecipanti costretti a giocare.

Con un collare attorno al proprio collo in grado di monitorare i ragazzi e di fulminarli all’istante nel caso cercassero di rimuoverlo, gli alunni dovranno cercare di eliminarsi a vicenda, o alternativamente di sopravvivere fino a che solo uno rimanga come superstite. A seguire e coordinare il sadico gioco, un professore strambo e carismatico, vittima a suo tempo di un accoltellamento proprio da parte di una delle scolaresche poi prescelte per lo show.

Battle Royale evidenzia già da subito tutta la sua carica violenta nell’esasperata lotta di sopravvivenza a cui sono sottoposti i ragazzi, che passano dall’amicizia fraterna ad essere pervasi da un senso di diffidenza anche verso coloro che consideravano gli amici più cari e fidati.

La vicenda di questo film non fa perno sul contesto di audience televisiva, che invece è il cardine di Hunger Games, ma pure di Rollerball, tendendo a concentrarsi sulla lotta alla sopravvivenza e sulle varie alleanze che spingono i ragazzi a unirsi in squadre pronte a lottare fino alla fine, fino all’epilogo rivoluzionario e inneggiante alla libertà.

Un film forse un po’ greve ed insistito, girato senza particolari cure registiche nel segno di una mattanza che alla fine stufa anche un po’ e crea ripetitività; ma certo pur con i suoi limiti, anche un cult, un mainstream campione di incassi in Giappone ed in molti altri paesi. In Italia non venne distribuito nei cinema, forse anche per la spietatezza di un contesto fanta-apocalittico che tuttavia rimane molto vicino a certe situazioni o realtà. Un cult spesso ripetitivo nelle sue carneficine, in cui tuttavia il frequente aggiornamento della conta dei morti regala allo spettatore la possibilità di regolarsi su quanto gli resta da vedere quanto a morti violente e ipotesi del più probabile superstite tra i ragazzi rimasti.

Grande, ironico, macchiettistico e sempre perennemente avvolto da abiti troppo larghi (come quasi sempre anche nei suoi film da regista e protagonista), Beat Takeshi illumina col suo personaggio pieno di incongruenze ma decisamente più sfaccettato degli oltre 40 ragazzi inviati al massacro.

Nel 2003 il medesimo regista iniziò a dirigere il seguito, ma, perì poco l'inizio dei primi ciak a seguito di una grave malattia fulminante. Il progetto trovò tuttavia conclusione grazie al subentro nella direzione figlio Kenta, che riuscì a portare a termine un progetto a cui era comunque già legato sin dal primo episodio.

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