Regia di Ted Kotcheff vedi scheda film
Gene Hackman sfodera la sua intensità senza problemi. Ogni ruolo nelle sue mani diventa qualcosa di più che un veicolo narrativo. E anche un film ideologicamente ambiguo come questo, un prodotto dell'America reaganiana dei primi anni '80, grazie ad Hackman vira clamorosamente verso la disillusione dell'americano medio. Da sempre famoso, Hackman, per i suoi americani contro, seppur legati all'etica dello stato (dopotutto è stato un marine), anche nel film di Kotcheff sembra incarnare il berretto verde ligio al dovere e al fanatismo militare, un po' come il Gunny di Eastwood, per poi mettere in luce i fantasmi e gli orrori di una guerra, amplificati nello smacco finale, proprio come il Gunny di Eastwood. Il figlio Frank non lo troverà, e porterà a casa solo 4 reduci del vietnam perdendo però sul campo altrettanti soldati. Qual'è la vittoria? Se c'è vittoria... Come in "Crimson Tide" e "Behind Enemy Lines", e soprattutto come in "Bat 21", uno dei migliori viet-movie e comunque il miglior film di guerra di Hackman, il suo personaggio vive l'ambiguità della follia militare, condannata da Tarchetti con "Una Nobile Follia", e della ricerca di un valore istituzionale forte e di salvaguardia. L'America s'è fatta combattendo con i nativi, colonizzando e sbandierando la battaglia come un dono di Dio. Non può essere diversamente, quindi, il conflitto interno di chi non concepisce la guerra, ma è costretto a viverla endemicamente, come portare a spasso il cane, o innaffiare il giardino, altre pratiche del buon americano. Ad un certo punto del film, il Capitano Rhodes interpretato da Gene Hackman, dice che la sua famiglia ha partecipato a tutte le guerre... e quanti sono morti. Eppure, lui è ancora lì a combattere. Ha più l'aria della maledizione che della grazia. Ricorda infatti lo smacco di "Black Hawk Down".
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