Regia di Edward Yang vedi scheda film
Nel 1982 una casa di produzione taiwanese sotto il diretto controllo governativo prova a contrastare il cinema hongkongonese, affidando un piccolo budget a quattro giovani registi senza alcuna esperienza nel lungometraggio. Da questo progetto ne uscirà In Our Time, un film a episodi che inaspettatamente godrà di un grande successo. Nasce così il Nuovo Cinema taiwanese. Uno di questi giovani registi era Edward Yang (1947-2007), che con The Terrorizers dirige nel 1986 il suo terzo lungometraggio.
Sebbene appartenenti entrambi alla new wave taiwanese, la pellicola di Yang si discosta per molti aspetti dal The Boys of Fengkuei di Hou, ritenuto da alcuni il film-manifesto del movimento. L'aspetto più evidente del cinema di Yang è ovviamente estetico. Campi mediamente più ristretti e uso più frequente di primi piani. Ma la caratteristica maggiore è l'ottima composizione della fotografia e l'attenzione minimale per le luci. The Terrorizers gioca con le luci in modo sublime, creando immagini di rara bellezza e preziosità.
Ma sebbene visivamente il film sia stupefacente, per il resto arranca. The Terrorizers inizia fin da subito con una narrazione lenta ma con un montaggio frenetico e frammentario. A ogni stacco non sai mai cosa aspettarti, dietro l'angolo c'è sempre un cambio di personaggi, di ambientazione oppure un salto temporale nel futuro di imprecisata durata. Il tutto diventerà più chiaro col procedere del lungometraggio ma questo non lo salva da un incipit confusionario. Tutta la prima parte del film è una molla che viene caricata per far esplodere il meccanismo nel finale. Ma purtroppo un buon finale non può salvare lo spettatore dalla noia provata per tutti i minuti precedenti. Inoltre The Terrorizers è uno di quei film che non imbocca lo spettatore, quindi bisognerà essere ben attenti per cogliere tutti i risvolti della storia.
Che più che storia è uno collage di slices of life. Ma almeno queste "fette" di vita appartengono a personaggi che a conti fatti risultano estremamente interessanti, per quanto non ci sia data questa grande possibilità di conoscerli a fondo. In tutta questa storia il regista riesce inoltre ad aggiungere dei sprazzi di poetica, come l'importanza degli istanti e l'indifferenza della metropoli, ma questi risultano poco efficaci a fronte di tutta l'impalcatura creatasi.
Tra i punti positivi la presenza di scene e immagini cinematografiche di assoluta potenza. Sono queste a farci capire che Yang aveva le capacità di sfornare un cult, cosa che purtroppo non è successa. Quello che ho apprezzato inoltre, rispetto al cinema di Hou, è l'allontanarsi dal realismo e l'ambientazione di Taipei. Entrambe queste caratteristiche hanno contribuito a creare un'atmosfera meno angosciante e claustrofobica rispetto alle città rurali e industriali di Hou. Questo lungometraggio ha inoltre il vantaggio di avere un'impronta ben definita. Ultimo ma non ultimo, il già citato finale, che giocando anche con la metanarrazione riesce a sollevare il film di qualche punto.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta