Regia di Oliver Stone vedi scheda film
Che dirne, e’ difficile distinguere le considerazioni filmiche rispetto a quelle storico-politiche: l’uomo che lo riempe, il collossico Fidel, sempre vestito a mo’ di statua, cui l’età’ dona, inattesa, una curiosa somiglianza con la giornalista Miriam Mafai (che pur certo Fidel non credo conosca, pur essendone fratello di fede), con quel volto segnato dalla vita e dal tempo, e quella bocca da cui fuoriescono tonalità, parole, riflessioni di una persona, si dica pure, un po’ rimbambita dai tradimenti molecolari (molocholari?) cui siamo tutti assoggettati per destino, e che pure al destino lui non creda, né alla vita ultraterrena. Quell’uomo vestito da statua, che interloquisce con un Oliver sempre più Hardy che Stone, copre così tanto il film da ombreggiare gli stilemi artistico-cinematografici, lo stesso Onlio Stone e’ così preso dal fare l’orsacchiotto amicone di Fidel che pare non curarsi troppo di impostare un film, il quale film sa scorrere da solo dietro al flusso dei ricordi pressoche’ secolari, confidati in questo film intervista, e che da soli possono reggere la pesante impalcatura della Storia, costrutia, guarda un po’, da persone che, come il nostro Fidel, apparirebbero oggi a un bambino come degli innocui nonnini, tutto tremori e caramelle, e che saranno invece nei libri di storia pilastri di un secolo intero, scritti accostati ad aggettivi sprezzanti ed ostili come “dittatore” o “tiranno” .
Lucide, ancor lucide, amarezze. Ho sentito la voce del Comandante piena di orgoglioso pessimismo, fiero sconforto, vitale sfiducia. Pronostica l’stinzione della razza umana nel giro di questo secolo (salvo, mi par di capire impossibili, ravvedimenti), condanna un sistema mondiale che la Rivoluzione (cosi’ la si chiama a Cuba, un’era di decenni es “la Révolucion”) non ha potuto battere, ma dal quale è miracolosamente scampata viva, e in piedi, dritta a contare i passi nel suo studio come un carcerato, a contare i passi di un isola, della sua isola, a incontrare, benedicente, le folle accalcate.
E dietro, una troupe americana, il suo capo Onlio e’ stato soldato americano in Vietnam, la camera, spesso si lascia andare nervosa e tremate, primi piani sulla vecchiaia del volto, delle mani, intorno agli occhi; e poi tanta di quella storia da metterci dentro, spezzoni di cinefilmati, il cadavere del Che, la guerra in Nicaragua, i discorsi alle Nazioni Unite, l’amico Cruschev, gli odiati presidenti USA.
Il valore del film e’ certamente destinato a brillare più nei musei della storia che non nel mondo del cinema, e non perché non ne abbia le potenzialità, ma perché coperto e divorato da un essere enorme della Storia che, per sua stessa ammissione, al cinema ci va poco (che fa poca vacanza lui), e del cinema poco si interessa. Buon gadget per quotidiani, presto nelle edicole. E sempre che il cielo non ci cada sulla testa prima!
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