Regia di Anthony M. Dawson (Antonio Margheriti) vedi scheda film
Potenza virtuale viene ricordato solamente per essere stato l'ultimo film diretto da Antonio Margheriti, che peraltro qui utilizza lo pseudonimo di Anthony M. Dawson. In effetti è dura trovare altre ragioni che lo rendano memorabile o anche soltanto degno di nota: a voler cercare qualcosa di curioso si può rilevare come, accanto a un bolso Terence Hill che si cala nei panni del più stereotipato degli sbirri americani, ci sia l'ex pugile Marvin Hagler, la cui carriera da attore cominciò proprio con Margheriti in Indio (1991) e non si protrasse molto oltre questo poliziesco-fantascientifico. Il soggetto è di Bruno Corbucci, scomparso da poco, e non va al di là del consueto mucchio di banalità e luoghi comuni su realtà virtuale, ologrammi e interattività fra mondo concreto e mondo del computer; la sceneggiatura è del totalmente anonimo Ferdie Pacheco, con 'revisione dei dialoghi' (qualsiasi cosa questa vaghissima mansione certo lautamente pagata significasse) a cura del figlio di Terence Hill. Siamo nel 1997 e internet si sta già rapidamente diffondendo: un film come Potenza virtuale è un cazzotto negli occhi di chi sta osservando la realtà evolversi. Oltre a sfruttare effetti speciali, a voler essere gentili, bruttarelli e a essere girato in maniera quantomeno imbarazzante per un buon mestierante come Margheriti. Hill è doppiato da Michele Gammino e non dal solito Pino Locchi; le musiche dei fratelli La Bionda sono banali al punto giusto per gli standard del prodotto. 1,5/10.
Un agente creduto morto torna in vita 'virtualmente', come ologramma, nel computer di una ragazzina, figlia di un'ex collega dell'uomo. Anche come sbirro virtuale riuscirà a portare avanti le sue indagini.
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