Regia di Mel Brooks vedi scheda film
L’utilizzo del bianco e nero per una pellicola è oggi qualcosa di inusuale ma vederne una in cui, per scelta del regista che, con l’intenzione di ricreare le ambientazioni e soprattutto le atmosfere, degli anni trenta, utilizza la monocromia, permette di valorizzare ogni elemento e dimostra quanto, in realtà, i colori siano superflui; a patto che alla base del suddetto film ci sia una buona sceneggiatura ben diretta da un ottimo regista. La quarta opera di Mel Brooks è simpatica, lineare, non annoia e regala un’ottima trasposizione del romanzo di Mary Shelley, già più volte oggetto di sceneggiature per la settima arte. Gene Wilder è brillante e rende al meglio il pazzo dottore ma è Marty Feldman a rubare la scena ad ogni inquadratura, non solo grazie alle fattezze fisiche che lo caratterizzano ma soprattutto grazie alla sua capacità recitativa, concentrata nell’eccellente espressività che lo contraddistingue. Sostanzialmente nulla di eccezionale ma resta un grande classico che ogni cinefilo dovrebbe recuperare per apprezzare la potenza del cinema di una volta, basato principalmente sulla bravura di artisti capaci di enfatizzare anche una trama nota perché già più volte battuta.
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