Regia di Mel Brooks vedi scheda film
Un uomo che tenta di sfuggire al proprio destino ineluttabile, rinnegando il proprio famoso avo Victor Frankenstein, con la modifica della pronuncia del proprio cognome in "Frankenstin". Mel Brooks, autore di svariate parodie, in "Frankenstein Junior." (1974), prende in giro le due pellicole di James Whale degli anni 30', così come altre opere di riporto, basate sull'ominimo mostro creato dallo scienziato - su tutti "Il Figlio di Frankenstein" (1939) -, non disegnando citazioni a "Dracula" (1931), nella cui Transilvania si svolgono gran parte delle vicende filmiche e l'intramontabile "King Kong" (1933).
Il regista, coadiuavato da Gene Wilder alla sceneggiatura, costruisce un geniale meccanismo di puro divertimento, attraverso una parodia, che trae la propria potenza cinematografica dalla "filologia dell'immagine", restituitaci in una cristalizzazione senza tempo da un bianco e nero, realizzato e concepito come se fosse in tutto e per tutto una pellicola degli anni 30'.
La potenza visiva, rende "Frankenstein Junior." un film senza tempo, in quanto al di fuori di qualsiasi flusso temporale contemporaneo già alla sua uscita. Sottratto all'incessante divenire, Mel Brooks, raffigura personaggi perfettamente aderenti nell'estetica, ai film dei mostri della Universal, di 40 anni prima; su tutti Frederick Frankenstein (Gene Wilder), il gobbo Igor (Marty Feldman) e il mostro (Peter Boyle). Figure intercambiabili con quelle dei film di Frankenstein di Whale, senza che se ne noti differenza alcuna. Persino le tematiche di fondo del capolavori di Mary Shelley - e delle trasposizioni filmiche - permangono intatte, se non ulteriomente ampliate.
La parodia quindi sussiste, in funzione di due o tre variazioni di tono, che rendono irriverente ed ironico, ciò che originariamente era serio e tragico nella sua tensione verso l'alto. In questo si deve dare merito alla recitazione virtuosistica di un Gene Wilder, che tira fuori l'ironia, dalla progressione sempre più assurda degli eventi, identificandosi sempre più negli esperimenti del proprio avo, sprezzatamente rinnegato ad inizio film.
Battute spassose, metafore, quarta parete doppi sensi - quelli sessuali sulle donne magari invecchiati al giorno d'oggi -, regola del tre e slapstick, sono ingranaggi di un meccanismo comico, pressochè perfetto, che deve molto alle spalle del protagonista capaci di assecondare il suo istrionismo. Gene Wilder con il suo titanismo di matrice letteraria, innebria di una tensione all'assoluto la follia intrineca del suo Frankenstin/Frankenstein, Igor attraverso gli sguardi in macchina ed il suo malocchio, riporta il dottore con i piedi per terra, mentre Frau Blucher (Cloris Leachman) flirta con la necrofilia più dello scienziato stesso - con gran spavento dei cavalli ogni volta alla pronuncia del suo nome - ed infine Inga (Teri Garr), riporta a galla la sessualità repressa del protagonista, a causa di una relazione frigida con la sua Elizabeth (Madelina Kahn). Nel mezzo, una miriade di caratteristi buffi, tra cui emerge l'ispettore dalla buffa parlata da tedesco-nazistoide, sottacendo temi ed ombre eugenetiche nascoste nelle pieghe della storia.
L'uomo che si sostituisce a Dio nell'opera della creazione, lascia spazio ad una costruzione artificale di un nuovo involucro-corporeo, superiore a quello base "dell' homo sapiens"; questo perchè Mel Brooks, mano a mano che sviluppa la narrazione, fa emergere in modo sempre più marcato la componente sessuale repressa dai personaggi.
Frankenstin, nella presentazione nell'aula universitaria, risulta una figura fredda ed amante della strumentazione scientifica medica. In ciò è assistito dalla sua fidanzata americana Elizabeth, con cui non si scambia neanhce un bacio nella scena di addio alla stazione (si toccano con i gomiti), che prende ironicamente in giro, le scene di saluto o addio con l'amata prima che il treno parta.
Solamente quando accetterà l'eredità del suo famoso, ma controverso, antenato, svilupperà una gioia per la vita, che non può passare attraverso la rianimazione dalla morte della creatura stessa, un alter-ego della desertificazione sessuale del dottore.
L'essere umano ha i propri istinti, così come il mostro riportato a nuova vita. La creatura seguendo i propri istinti, mira a soddisfare i piaceri del corpo, finendo con l'influenzare l'indole del dottore, che infondo farebbe bene ad accettare in parte il proprio lato di "bestia".
Una vita senza relazioni conduce alla morte, da essa si può sfuggire accettando la componente sessuale. Con estrema soddisfazione di Frankenstein riappropriatasi infine della pronuncia corretta del proprio nome, con sguardo compiaciuto in camera.
La forza visiva delle immagini, non disperde quindi per nulla i contenuti dell'opera letteraria, contribuendo tramite la parodia ad ampliarne di ulteriori.
L'impalcatura filmica, si regge grazie ai tempi della comicità sempre azzeccati da un Mel Brooks, capace di giostrarsi tra istrionismi visivi ed un montaggio, che tra scorrimento o tendina, dissolvenze incrociate e mascherine, richiama tutto l'armamentario dei raccordi anni 30', donando una linfa tecnica inattuale rispetto ai coevi film della "Nuova Hollywood",
Un'ora e quarantacinque di assurdo e surreale divertimento, nella cui stratificazione delle immagini la commedia non divora mai le profonde tematiche di partenza, rendendo "Frankenstein Junior.", un omaggio che con umiltà e devozione si accosta ai propri numi tutelari, invitando lo spettatore a scoprire o rivedere, il vecchio cinema dell'orrore americano fatto di castelli spettrali, atmosfere gotiche, scienziati pazzi e personaggi strambi, spazzati via dalle coeve pellicole horror che ricercavano invece la paura nel contemporaneo.
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