Regia di James Whale vedi scheda film
Non è il primo adattamento del capolavoro letterario di Mary Wollstonecraft Shelley, diciottenne, avendo avuto una tradizione teatrale fortunata già dal XIX secolo e alcune operazioni filmiche (anche in Italia), ma col Frankenstein diretto da J. Whale, inglese, Hollywood e la Universal hanno marchiato l'immaginario collettivo in maniera indelebile. A sua volta derivato dall'adattamento teatrale di Peggy Webling, il film del 1931, pur non essendo del tutto fedele al libro, è una cornucopia di tematiche universali ed esistenziali: già il titolo shelleyano il Prometeo moderno esplicita il filo conduttore tra il mito, radice arcaica della civiltà occidentale, l'attualità e il futuro soprattutto, non solo europei; già con Whale (o meglio, già a teatro) il vero polo d'attrazione è il mostro, la nuova creatura, l'essere vivente artificiale, quindi un morto vivente prima ancora dell'èra zombie (con le ovvie differenze fisiche e metafisiche), però il motore - il barone Frankenstein (un ottimo C. Clive) - è restituito nella sua figura scissa, inizialmente, tra follia ed ebbrezza della scoperta e razionalità che riacquista coscienza, una personalità che tuttavia non ha ambizioni se non lo sviluppo della scienza e della conoscenza universale.
Come si diceva, però, il fulcro metaforico è il mostro (l'inimitabile e leggendario B. Karloff, che lo umanizza e gli rende dignità), simbolo non solo di sé stesso nell'economia della storia narrata, ma anche dell'uomo in rapporto a Dio, del suo rapporto conflittuale a sua volta scisso tra mistero della vita e mistero della morte, forza motrice e inerzia, fluidità organica e deterioramento, desiderio di sostentamento materiale e volontà di conoscenza dell'origine e della meta (la creatura che scopre un raggio di luce tenue, mentre ha terrore del fuoco diretto, troppo aggressivo per la sua fragilità interiore, ancora una volta contrapposta alla sua potenza fisica che è tale proprio nella mescolanza di materia organica e inorganica). La sua è un'universale e magnifica metafora soprattutto del diverso, dell'essere "originario" che da un lato viene gratuitamente discriminato e aggredito (il servo che lo maltratta con la torcia), dall'altro non ha ricevuto adeguata cognizione dei fatti, non ha avuto educazione e capacità di discernimento. Tutti aspetti che emergono dal rapporto diretto con la bambina, sua pari in quanto pura d'animo e contrapposta alla normalità dell'uomo adulto "sano" ma dalla razionalità che in realtà è più sottomessa a pregiudizi, una scena di commovente idillio e delicatezza espressiva destinata alla tragedia con allarmante ingenuità e in cui esplode la consapevolezza una volta avvenuto l'errore.
Lo stile di Whale è perfetto, di una essenzialità e morbidezza nate già classiche e assolute, in quanto trascende la particolarità del genere orrorifico ed equilibra il dionisiaco con l'apollineo, l'espressionismo (incredibile la stilizzata suggestione iniziale al cimitero, addirittura commovente invece la "nascita" della nuova vita) con un approccio che sembra presa diretta della realtà andando oltre lo stesso documentario, una specie di crasi fra teatro e neorealismo ante litteram (la scena al lago con la bambina), caratteristica accentuata dalla scelta felice di non far intervenire una colonna sonora musicale, "relegata" a cornice nei titoli di testa e di coda, ma usando esclusivamente suoni d'ambiente, di movimenti e dell'atmosfera psicologica e meteorologica. 10
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