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Francisca

Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film

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La recensione su Francisca

di OGM
8 stelle

A cosa servono le parole. A nascondere tutto ciò che si teme, ovvero le passioni e la verità. Manoel de Oliveira, due anni dopo la miniserie televisiva Amor di perdizione, torna ad ispirarsi allo scrittore portoghese Camilo Castelo Branco (1825-1890),  questa volta non come autore, ma come coprotagonista del suo adattamento cinematografico del romanzo Fanny Owen di Agustina Bessa Luís. Una romantica storia ottocentesca, nella quale, però, al tradizionale dilemma d’amore si sostituisce l’ambiguità. La ragione non interviene per disciplinare le emozioni, bensì per mascherare la paura di lasciarsi andare, o di guardare in faccia i propri errori: come un matrimonio borghese e sbagliato, quello tra José Augusto e Fanny. Una relazione nata, per lui, come una sfida, contro la gelosia dell’amico Camilo e la triste solitudine in cui l’ha gettato la morte della madre. Lei si lascia trascinare, anche se in quel rapporto non crede fino in fondo. La logica vuole una cosa, il sentimento un’altra, che, però, non è ben definita, e tantomeno presentabile in società.  L’ipocrisia è la fonte dell’infelicità, perché costruisce solide gabbie di menzogne. Il marito non conosce veramente la moglie, ignora il suo passato e non sa che la donna, clandestinamente, intrattiene un carteggio con un altro uomo. Lei, per contro, finge di non cogliere l’evidenza delle sue scappatelle, sorvola sulle sue ripetute e prolungate assenze, reprimendo una grande sofferenza interiore. Una tragica vicenda di tradimenti incrociati, nella quale, tuttavia, il discorso non riguarda l’onestà. In altri termini, i protagonisti sbagliano non perché sono infedeli verso il prossimo, ma perché non sono sinceri con loro stessi. Anima, istinto, cuore sono le parti del loro essere a cui José Augusto e Fanny si rifiutano di prestare ascolto. Sono pezzi di carne che determinano, nel bene e nel male, il lato puramente sensuale dell’umanità, quella spontaneità che è vita naturale e feconda, fintanto che non viene contaminata dal pensiero e deviata dalla sua funzione primordiale. L’anima non è come una sedia offerta ad un ospite. L’anima è un vizio. Non può essere presa in prestito, né inventata, per alimentare un progetto esistenziale preparato a tavolino.  Gli animali  sono più felici, l’istinto con loro non mente. Per noi, invece, quando l’istinto si avvicina, appaiono i doveri, le convenienze e cosa ancora peggiori. Le convenzioni impongono le loro regole, ed imprigionano il desiderio, fino a spegnerlo per mancanza d’aria. Questo è un cuore [morto]. Un muscolo che si è fermato, come un orologio. Non ti faceva impressione quando potevi sentirlo battere nel suo petto, oppure nel polso. E allora sì, che doveva farti paura. Da esso uscivano cose spaventose, come il destino di un uomo, e anche di più. Anche la verità assoluta e vendicativa si fabbricava lì. Persino Dio, sul suo trono, si costruiva lì, come un’opera d’ingegneria, un ponte o una strada. Adesso, guardalo. È pulito, inoffensivo, senza odore né fuoco, senza nulla che porti disordine nel mondo. Gli impulsi diventano aspirazioni, tirandosi dietro gli obblighi, i calcoli, gli interessi. Il palpito si fa dettare il ritmo e si fa strategia. Una donna è capace di tutto, tenendo un piede sul cuore. Adesso conosco un demonio che si chiama ostinazione. [...] Ho imparato che si può usare maggiore vivacità negli affetti se ci si allontana dalle passioni. Tutti dovrebbero saperlo. Bisognerebbe insegnarlo nelle scuole. Le argomentazioni eludono la meditazione sull’origine della sofferenza. Il fraseggio poetico è un percorso di fuga, che sposta l’attenzione verso le categorie universali, dove l’io, con i suoi dolori segreti, affonda in un tutto indistinto e neutrale. Laggiù si trova la perfezione a cui José Augusto ottusamente tende. E lì abita l’eternità, quel bene inarrivabile la cui mancanza riempie l’esistenza umana di terrore. Ancora una volta, nel cinema di Manoel de Oliveira, il testo parlato è un vagabondare,  lento e studiato, che conduce fuori dal tempo;  i personaggi, con passo cadenzato ed incerto, procedono a tentoni sul terreno già sondato dalla tradizione letteraria, filosofica, religiosa. E intanto distolgono lo sguardo dallo loro precaria realtà, dove tutto appare tranquillo, a patto di convincersi che nulla, nel mondo, potrebbe essere diverso da così.   

  

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