Regia di Alberto Cavallone vedi scheda film
Il film vuol'essere un pamphlet contro il materialismo dominante la società dell'epoca, ma anche un saggio sul rapporto fra i sessi caratterizzato da uno spirito polemico e anarchico, anche piuttosto incline al femminismo, abbastanza tipico di quegli anni (si parla dei "seventies"), nonchè un'esaltazione del desiderio e della fantasia di stampo chiaramente surrealista (così come lo sono i riferimenti figurativi e lo stile a-narrativo adottato dal regista).
L'accusa di Cavallone è dunque nei confronti dell'uomo che, con la sua grettezza e ottusità, sarebbe sordo alle esigenze vitali della donna e colpevole di soffocarne il desiderio, la vitalità e la fantasia, subordinandola al ruolo di serva o di semplice animale da piacere, di bestia. L'uomo incarna di volta in volta tutti gli aspetti negativi della società e del materialismo in essa dominante: vi è in primo luogo una critica piuttosto sprezzante e sarcastica del comunismo, in particolar modo di un certo materialismo "feuerbachiano" castrante secondo cui "l'uomo è ciò che mangia" (il protagonista del film, membro del partito comunista del paese, è ossessionato da immagini di apparati digerenti che sovrappone di volta in volta a quelle di donne nude e seducenti, affermando con un tono tra il compiaciuto e lo sconfitto "a volte è utile ricordare ciò che siamo"). Ma ad essere sotto accusa è in realtà un po' tutto il proletariato, tanto quello comunista, sordo ai richiami del piacere e della fantasia in quanto i suoi sforzi devono essere interamente indirizzati alla causa sociale (come ricordato sempre dal protagonista), quanto quello religioso. Non vengono infatti risparmiati strali, com'è nella tradizione surrealista, nei confronti del bigottismo e dell'ipocrisia cattolica: il padre che addirittura arriva ad avere un rapporto sessuale con la figlia perchè non avverte più attrazione per la moglie bigotta, imbruttita e invecchiata, la quale riuscirà a riconquistarlo riscoprendo la propria sensualità repressa; abbiamo inoltre una satira della Chiesa e della mercificazione e degradazione dei valori religiosi dal sapore tipicamente bunueliano (la prostituta che nasconde i soldi dietro il crocifisso ricorda moltissimo quello tramutato in coltello di Viridiana), nella figura di un sacerdote che regala più santini al bambino che riesce a distribuire il maggior numero di biglietti della lotteria, o che organizza una lotta tra omaccioni oliati per affidare al vincitore il compito di portare il crocifisso in processione.
Poi abbiamo un macellaio i cui impulsi sessuali deviati si confondono con pulsioni di morte, e che infatti, dopo essersi eccitato di fronte alle forme provocanti delle ragazze del paese, è solito accoppiarsi con i quarti di manzo appesi nella sua cella frigorifera. O ancora una prostituta costretta a vendersi in un cimitero.
Vittima di tutto ciò è sempre la donna, incarnazione della vita, del desiderio, della fantasia, della sessualità sacrificate e offese dalla grettezza del maschio, dalle sue pulsioni mortifere e autodistruttive, così come dalla repressione sociale e religiosa, costretta ad essere una semplice bestia da piacere e a trovare una via di fuga esclusivamente nella fantasia masturbatoria e narcisistica.
Alla fine il protagonista capirà che l'unico modo per guarire la moglie schizofrenica dalle sue tendenze autodistruttive, sempre più pericolose per sè stessa e per gli altri, nonchè per consentirle di uscire dalla "fase anale" nella quale sembra essere bloccata, che la manterrebbe pertanto in una condizione di dipendenza infantile dall'uomo, sarà consentirle di concretizzare le sue fantasie sessuali represse; per far ciò la sua mente produrrà un alter ego, una sorta di doppio dall'aspetto di un bel giovanotto, che comincerà ad andare in giro a soddisfare le donne del paese rendendo reali le loro fantasie, e che alla fine consentirà anche alla moglie del protagonista di guarire almeno in parte, di uscire dalla sua fase anale, sacrificandosi, permettendo a quest'ultima di dare sfogo alle proprie pulsioni sessuali deviate, e quindi di emanciparsi totalmente da esso, di uscire dall'infanzia, terminando infatti il rapporto sessuale perverso con una castrazione del marito-alter ego.
Che Cavallone non sia un regista dozzinale lo si vede dallo stile, dai colti rimandi figurativi di stampo palesemente Surrealista (ad esempio il parallelismo tra l'uovo della gallina e l'occhio che ricorda un famoso quadro di Ernst: l'occhio come l'uovo in quanto simbolo della vita, come luogo nel quale si mette in moto il meccanismo della vista e quindi del desiderio, della fantasia; per questo alla fine del film, in un montaggio parallelo vediamo alternarsi la "guarigione" della moglie del protagonista, e una ragazza che, dopo essere stata violentata dal macellaio nella cella frigorifera in mezzo ai quarti di manzo, si inserisce un occhio di bue nella vagina, come affermazione della propria volontà di vita contrapposta a quella di morte del macellaio), dallo stile a-logico e a-narrativo anche questo di stampo surrealista, nonchè dalle costanti citazioni di quadri di Magritte ("Lo stupro", citato dal regista per il suo chiaro significato), Ernst e altri che ora non ricordo.
Purtroppo tutto ciò non viene del tutto valorizzato, essendo anzi a tratti addirittura sacrificato, dalla mediocrità tecnica del regista, non del tutto capace di dare forza alle sue invenzioni visive con uno stile adeguatamente delirante e visionario, che conferisse al film un andamento irrazionale e a-logico, facendolo apparire più che altro come un collage un po' fiacco e sfilacciato di scenette bizzarre; a ciò si aggiungono anche la recitazione e la scelta degli attori, degni di un filmetto trash di quelli che piacciono tanto a Tarantino, così come anche la maggior parte dei dialoghi. Sia chiaro, il film alla fine si salva, cioè si merita la sufficienza, ma in questo modo sembra più un trash d'autore che non un delirio surrealista alla Jodorowski o Borowczyck, come forse avrebbe potuto essere.
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