Regia di Volker Schlöndorff vedi scheda film
Chi ha pensato che il film di Schlöndorff potesse rappresentare l'equivalente dell'omonimo romanzo di Günter Grass ha preso un granchio gigantesco. Non si può nemmeno lontanamente pensare che il regista tedesco non avesse ben presenti tutte le difficoltà di portare sullo schermo un testo tanto complesso, magmatico, imponente e importante. Uscito con vent'anni di ritardo rispetto al capolavoro di Grass, costretto a condensare in meno di due ore e mezzo (che per un film è comunque una durata considerevole), "Il tamburo" di Schlöndorff non poteva che offrire e sviluppare alcuni dei moltissimi spunti presenti nel romanzo. E quello che si chiede allo spettatore, così come al critico, è di giudicare "Il tamburo di latta" di Schlöndorff in quanto film. E il giudizio complessivo sul film è, a mio modesto parere, più che positivo. Raccontato tutto sommato con sveltezza, "Il tamburo" non trascura le tematiche fondamentali dell'opera letteraria, con questa storia di Danzica vista dal basso (letteralmente), da chi non accetta la follia del mondo e batte sul tamburo della protesta. Consiglio a tutti di vedere questo film, perché riesce a non annoiare e a raccontare una storia, che si cimenta spesso con il grottesco e con il surreale - fino a toccare, talvolta, la festosa nostalgia carnevalesca del migliore Fellini - ma resta sempre saldamente ancorata alla realtà, tragica, dei fatti; in più è fotografata benissimo (complimenti a Igor Luther) e recitata da un gruppetto di attori bravissimi, da Mario Adorf ad Angela Winkler, passando per Olbrychski e Aznavour, fino ad arrivare al sorprendente ragazzino David Bennent (figlio di Heinz che interpreta Greff), capace di essere prodigiosamente credibile dai tre ai trent'anni. Non mancano, infine, scene commoventi, come quella del suicidio del giocattolaio ebreo che riforniva il piccolo Oskar dei tamburi bianchi e rossi. Consiglio, comunque, anche di leggere l'immenso romanzo di Grass. Per una volta, l'accoppiata libro - film è azzeccata.
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