Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Un film che si permette molto. Un film che si permette di guardare dentro l'icona per vedere l'uomo. L'approccio del regista non è nè morboso nè moralistico, gli interessano gli ultimi giorni non l'ultimo sparo. Gus Van Sant amplifica lo stile tragicamente sospeso di Elephant andando a cercare subito l'ancestrale il rapporto con la natura e con gli elementi primitivi. Il protagonista viene scortato dalla camera quasi sempre di spalle nel suo borbottare quasi a non volere disturbare il suo percorso di necessario isolamento. Le performance artistiche vengono invece inquadrate frontali senza montaggio, senza playback, senza tagli e soprattutto senza preoccuparsi della resistenza media dello spettatore-tipo di mtv e simili. La colonna sonora non potendo e non volendo essere quella del gruppo originario di William Blake diventa una scelta importante, così tra canzoni live e stereofonia si rispolvera Venus in Furs dei Velvet Underground, finendo per costruire un soundtrack ambizioso e variegato come pochi.
Gus Van Sant non esita a immergere il film in una specie di liquido amniotico dove l'esito è scritto ma quello che conta è il cammino fatto per arrivarci. E' inutile cercare di capire il mondo esterno, stabilire contatti reali con gli altri diventa prima inutile che difficile quindi meglio evitare tutti prima della fine. Negli ultimi giorni si deve essere sinceri con sè stesso non si può perdere tempo con la pubblicità delle pagine gialle o con la chiesa mormone, l'uomo prima di diventare leggenda non può fingere di cercare l'approvazione del pubblico o essere qualcosa di diverso di quello che è.
Un grande film insomma per il quale la definizione di regista più sperimentale di Hollywood stava persino stretta al nostro.
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