Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Permangono i miei dubbi sulla statura autoriale di Van Sant, anche dopo la visione di questo stimolante Last Days. Opera coraggiosa, radicale, della serie "prendere o lasciare". Opera ambigua: dove finisce la sperimentazione e dove comincia il manierismo? quando la messa in scena della deriva esistenziale sfocia nell'ammiccamento ai clichè della cultura grunge (di cui Cobain è stato, suo malgrado, l'esponente più acuto)? dove termina il gusto per l'inquadratura ricercata e dove prende piede la noia? Ogni dubbio è lecito, però personalmente preferisco il Van Sant sperimentale a quello mainstream. Senza il rigore e la geometria di Elephant, l'autore di Last Days ha buon gioco nello sfruttare le enormi potenzialità espressive di elementi come il piano-sequenza, la messa a fuoco, il sonoro, scombinando le prospettive di sguardo, rinunciando deliberatamente alle psicologie, confondendo i ruoli e riflettendo sui concetti di soggettività e relativismo. Last Days è il sogno del Cobain immaginato da Van Sant poco prima di farla finita: i contorni onirici e i risvolti grotteschi non sfociano mai nel visionario, ma si attengono ad una perlustrazione fenomenologica del reale. In questo senso, Last Days si colloca come ideale discendente di quel cinema esistenzialista oggettivista degli anni 60 e 70, quello di Antonioni e Wenders per intenderci. E' lecito obiettare che, forse, Van Sant nel tentativo di rappresentare l'aridità del reale abbia a sua volta realizzato un'opera arida, sterile, vuota: penso che, con tutti i suoi limiti, questa equivalenza fra forma e contenuto giovi alla riuscita del film, certo meno dolce, intimistico e poetico di Paranoid Park, ma più asciutto e compatto. Per dire se Van Sant sia o meno destinato a diventare un nuovo Maestro, attenderei almeno il decennio a venire.
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