Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Documentario sul disagio mentale di una rockstar prossima al suicidio. Ovvero la storia degli ultimi giorni di vita (marzo/aprile 1994) di Cobain, senza mai citare il suo nome. L'unica cosa che manca - presumibili le rogne legali in caso di sua esplicitazione - è proprio il nome: c'è una villetta identica alla sua, c'è il suo vestiario (il cappotto, il maglione a righe rosse e nere, gli occhiali da sole!) ricostruito ad arte, c'è il suo atteggiamento schivo, trasandato, la sua aria (solo?) da tossico, c'è insomma la storia vera di quei giorni: ma non c'è Cobain. Michael Pitt è bravo a sostenere un ruolo in verità non facile, anche se la somiglianza fisica lo aiuta; biasimo sulla scelta di interpretare quei giorni 'persi' con la vacuità pressochè totale dei dialoghi (quando ci sono) ed il largo uso di inquadrature fisse, che aumentano il senso di collosa staticità del momento psicologico del protagonista. Particina per Kim Gordon dei Sonic Youth e pure per Asia Argento, che non parlando (dice solo un nome, due volte, in tutta la sua parte) e girando seminuda per casa dà il meglio di sè.
Blake è una giovane rockstar. Si aggira in stato confusionale nel parco della sua sontuosa villa, indossando vestiti a caso, fermandosi a scrivere qualche nota sul suo diario, a scambiare qualche farneticante parola con gli amici che vivono a casa sua o con un rappresentante che gli entra di soppiatto nel salotto. Blake è ricercato: è fuggito da una clinica per disintossicarsi e questo ha mandato nel panico la nevrotica moglie, che telefona ossessivamente senza riuscire a trovarlo. Poi il ragazzo viene ritrovato cadavere in una stanzetta isolata della casa.
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