Regia di George Lucas vedi scheda film
Viene spontanea una domanda, pensando a Star Wars: Episodio III. Ma Anakin, che solo rinnegando i cavalieri Jedi potrà conoscere il “potere” per salvare l’amata Padmé, avrebbe abbracciato il lato oscuro anche senza il ricatto di Darth Sidious? È molto facile cadere prigionieri del male. In un gioco di seduzione si è sempre un po’ perdenti, se si intuisce il piacere che può provocare l’abbandono all’altro. Forse per questo George Lucas ammanta di melodrammatica tensione i confronti tra Anakin e il suo mentore malvagio, il demonio di faustiana memoria, e invece lascia i dialoghi tra la fanciulla e il suo principe ad un sentimentalismo più prevedibile. A conclusione della saga, il regista-demiurgo torna ai miti fondativi e agli archetipi del racconto avventuroso, dove spiccano per profondità i caratteri malvagi e sono invece legnosi, nel loro lucente dogmatismo, i buoni. È un risalire la corrente, tornare all’aspetto umano delle maschere. Anakin, se ci pensate bene, è l’unico uomo a più dimensioni di tutta la saga. Gli altri sono “tipi”: il saggio, l’eroe, la regina, la spalla, l’avventuriero (Han Solo: uno come lui manca nella nuova trilogia)… Anakin è il solo ad essere investito dell’elemento umano per eccellenza: il dubbio. Impossibile, quindi, non immedesimarsi con lui, anche quando nel finale è costretto nelle sembianze di un Frankenstein destinato alle peggiori nefandezze ma, in fondo, mai veramente “cattivo”. Con Episodio III, Lucas conclude la sua chanson de geste fantascientifica in un tripudio immaginifico che lascia senza fiato, dal combattimento tra Anakin e Obi-Wan ritagliato sul trasparente dell’Etna in eruzione alla sequenza alternata, girata in digitale, di nascita-morte-rinascita. Fino alla conclusione che è un inizio: la Morte nera che sorge da una parte, i soli del pianeta dove crescerà Luke Skywalker dall’altra. Se si può muovere una critica, riguarda i meccanismi narrativi troppo trasparenti e le simbologie elementari. Ma a Lucas solo questo interessa: il Mito. Per definizione, il grado zero del racconto.
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