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Quando sei nato non puoi più nasconderti

Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Quando sei nato non puoi più nasconderti

di yume
7 stelle

Quindici anni dopo, tante cose , tanti film e non film, dal 2005 sembra un secolo e oggi quel film, non so per quale strano fenomeno, emoziona.

A volte vedere un film “datato”, e con datato s’intende fuori tempo, obsoleto, superato, serve.

Quindici anni, tanti sono dalla sua uscita, e nel frattempo Marco Tullio Giordana ha continuato a non piacermi. Poco male, non personalizziamo.

Dunque di questo mi piaceva il titolo, un po’ retorico ma vero, la storia al tempo la trovai scontata, ogni personaggio nella casella giusta a dire e fare le cose che tutti si aspettano. Giudizio a tre stelle.

E poi passano quindici anni, tante cose , tanti film e non film, dal 2005 sembra un secolo e oggi quel film, non so per quale strano fenomeno, emoziona.

Cosa di questo film emoziona.

La permanenza in acqua del ragazzino e il suo sguardo sulle cose della vita.

E’ impacciato e tendenzialmente scontroso, vive quella fascia di età in cui non si sa bene in chi identificarsi, chi avere come modello, e tra casa e strada, scuola e piscina, non ci sono ancoraggi convincenti.

La madre superficialotta, buona donna un po’ chioccia, il padre, un industrialotto contento di sé e dei soldi che ha fatto con la “fabbrichetta” nella bresciana che lavora e fa skei, amici di casa con Porche e barca a vela la “lumbard” che sanno cos’è la vita, piscina di casa e piscina per diventare un campione che non sarà mai, completate da scuola giusta, letture edificanti e compagni giusti.

Questo è l’habitat suo e di milioni di adolescenti che oggi il covid19 ha definitivamente confinato dietro i loro monitor.

Allora giravano per la città, prendevano autobus e incontravano per strada immigrati fuori di testa che i poliziotti accompagnavano amabilmente in macchina senza riempirli di botte.

Il nostro giovane futuro uomo guarda, non capisce, memorizza.

E un bel giorno, anzi una bella notte, cade in mare dalla barca dell’amico del padre.

La sequenza è lunga e angosciante, forse troppo, ma quando un barcone di emigranti lo raccoglie l’angoscia diventa incontenibile.

L’idea del film, tratta da un libro, è vincente.

Tanti film in questi anni hanno parlato e straparlato del fenomeno barconi si e barconi no. Ingigantito da allora, ha raggiunto l’unico scopo di creare quella assuefazione alle tragedie che insegna a sopportarle, soprattutto se sono quelle degli altri.

Questo però, a quindici anni di distanza, in un tempo così diverso e funestato da altre tragedie, riesce a dire cose che colpiscono fino in fondo, e ci si chiede perché.

Sembra che quello che succede, gli incontri di mondi diversi, l’abisso tra loro, quel fatalismo entrato nelle fibre più intime del tessuto sociale, quell’addio definitivo alle istanze di uguaglianza e diritto per cui un tempo ci si scannava, si discuteva, si credeva, tutto questo sembra scolpito in una lapide alla memoria, lo vediamo e ci diciamo che questo è ancora il mondo, nulla è cambiato, ma ora abbiamo altro da pensare, lasciateci in pace.

 

Il ragazzino va a cercare Alina, la piccola rumena conosciuta sul barcone e fatta prostituire dal fratello ladro? Incredibile, potrebbe mai succedere? Non crediamo, ma nel film sembra credibile e bello, e i due seduti sul marciapiede di fronte alla stazione ci ricordano qualcosa, forse di Chaplin? di Ozu? Di Kurosawa? Certo di un mondo lontano, dove  miseria e bellezza ancora potevano andare  insieme.

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

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