Regia di Florestano Vancini vedi scheda film
Ferrara, corte degli Estensi, primo ‘500: il duca Ercole I è morto lasciando i suoi vivaci figlioli a spartirsi il potere. Il giovane cardinale Ippolito, alleato del nuovo duca Alfonso, fa sfregiare il fratello Giulio per una banale questione di donzelle; Giulio e l’altro fratello Ferrante tramano per uccidere Alfonso e Ippolito. È la famosa ”Congiura di Giulio d’Este“ raccontata da Riccardo Bacchelli in un libro fondamentale, e vista in E ridendo l’uccise attraverso gli occhi del buffone di corte Moschino, coinvolto suo malgrado. Ne esce un affresco fosco e potente: gli splendori del Rinascimento ci sono tutti (un personaggio importante è il sommo Ludovico Ariosto, funzionario al servizio di Ippolito, al quale dedicò l’Orlando Furioso), ma in parallelo vengono mostrate le atrocità, le vessazioni, la miseria in cui versavano i popolani. Si può rimproverare a E ridendo l’uccise di essere un film un po’ ”all’antica“ ma sicuramente Florestano Vancini (La lunga notte del ‘43, La banda Casaroli, Bronte, Il delitto Matteotti) lo voleva così, per aggiungere un tassello importante al lavoro di scavo nella storia sempre presente nei suoi film. Sconosciuti, e bravi, gli attori: tra i quali spicca il giullare Manlio Dovì.
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