Regia di Florestano Vancini vedi scheda film
Vancini, sulla soglia degli ottant'anni di vita (e del mezzo secolo di attività registica), mette in scena questo progetto probabilmente ben più ambizioso di quanto in concreto lasci trasparire; soggetto e sceneggiatura sono firmati insieme a Massimo Felisatti, mentre per le musiche viene scomodato nientemeno che Morricone; il cast lascia un po' a desiderare in quanto a nomi, ma non come resa. Non compaiono infatti volti celebri, se non uno, per giunta non particolarmente promettente: un comico del Bagaglino, Manlio Dovì, che invece a sorpresa sfodera una discreta interpretazione nel ruolo centrale di tutto il film, quello proprio del buffone di corte (dopo tanti anni di inoffensive gag televisive al servizio dei potenti di turno, viene naturale di riflettere). Vancini negli ultimi 25 anni si era dedicato quasi solamente a fiction tv e la cosa ad esser sinceri si vede; lo spirito critico-polemico del lavoro (nei confronti del potere, con la beffarda chiosa finale, da cui il titolo: la morte riscatta sempre i suoi crediti, sia pure ridendo con la sua vittima) è forse un po' annacquato da un ritmo sonnolento e da un intreccio moderatamente complesso, ma molto diluito (poco più di due ore è la durata complessiva della pellicola). L'odore di 'ultima prova', di atto finale di una carriera onorevole come quella di Vancini è sicuramente stata (La banda Casaroli, Il delitto Matteotti, Le stagioni del nostro amore), si respira profondo ed acre, già considerando che il soggetto implicito del titolo del film è appunto proprio la morte. 5/10.
Intrighi amorosi e mortali alla corte degli Este, nella Ferrara a cavallo fra Quattro e Cinquecento; al centro delle vicende, i quattro fratelli duchi ed un osservatore speciale: il buffone Moschino, divertente e pure saggio, ma non abbastanza da salvarsi la vita...
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