Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film
Il figlio di Nico Girardi, Rocky, segue le orme del padre e ripercorre la sua carriera di poliziotto, fatta di inseguimenti ed arresti sui generis. Alla base del film non c’è un vero nemico (se non quello che porta all’inseguimento finale sui ghiacci ai danni del malfattore rifugiatosi a Cortina), ma una grande paura: quella di non sapere far capire appieno che Rocky è figlio di Nico. E così dopo 30 anni e passa, Claudio Amendola rindossa i panni demodé di Thomas Millian, prova a parlare come lui, scimmiotta addirittura le stesse espressioni… Per gli amanti del mitico personaggio de “er monnezza” (precisiamo, film di medio livello, ma che hanno segnato una generazione), assistere ad un vituperio simile, ad una profanazione di questo livello, significa buttare benzina sul fuoco su quell’odiosa (e purtroppo ancora in voga) pratica del remake a tutti i costi. Si parla qui ovviamente della categoria del remake-parassita (quello degli “Amici miei – Come tutto ebbe inizio”, per capirci). Sfruttare gli anni di onorata carriera di Nico Girardi per farne un film-omaggio (ufficialmente, anche se la tesi del remake-parassita è quella più condivisa in giro) significa dover sottostare ad alcune forzature. Ed ecco che si deve fare necessariamente l’accenno a “venticello” (con Enzo Salvi a interpretarne uno dei figli) o ripercorrere alcuni topos del passato (come l’irruzione nel ristorante cinese dell’incipit), finendo per svaccare clamorosamente a conti fatti, dimostrante anche al più tonto degli spettatori che il nobile omaggio è in realtà un frustrante sciacallaggio.
Unica idea carina del film è la telefonata finale in cui si fa, questa volta sì con grande devozione, un omaggio all’inarrivabile Ferruccio Amendola, padre di Claudio e voce storica di Nico Girardi: sentire Claudio appellare quella voce come quella del padre fa commuovere. Per il resto, non ci sono ulteriori commenti che si possano scrivere senza temere querele.
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