Regia di Mike Binder vedi scheda film
Papà è scappato con la sua segretaria svedese, con la quale se la intendeva da tempo? Rabbia, rancori, attriti, liti, bisticci e tenerezza di una madre con quattro figlie adolescenti, e un perdigiorno ex-campione di baseball che fa il filo alla prima.
Non mi posso lamentare: un film americano interpretato da attori non collegati al cinema psicologico o sentimentale - con un regista e sceneggiatore però non sciocchino - che mettono in piedi un film non banale, che la le sue cose da dire sulla vita e sui suoi casi, e che gratta un po' sotto la superficie dei personaggi. Non si può parlare di definizione profonda, ma pure ci ritroviamo con delle figure concrete e non con dei manichini che parlano. Quello che conta, comunque, è il come reagiscono dopo la classica tegola che cade sulla testa, e come metabolizzano il colpo (o non lo metabolizzano affatto). La vita di madre e figlie, infatti, sembra prenda dopo il trauma iniziale delle nuove direzioni, ma il motore scoppietta e va a scossoni, e a momenti di ferma del tutto. C'è qualcosa che toglie la pace a tutti, che pesa sulla coscienza, che tormenta dentro in modo sottile, e che non permette a loro di veramente cominciare una nuova vita.
Kostner era già allora in fase calante, ma qui funziona forse perché interpreta un personaggio vicino a quello che lui è. Quanto alle ragazze - tutte molto carine, bisogna dirlo - fanno quanto basta per parlare di interpretazioni accettabili e non di ruolo ornamentale e riempitivo. Forse la migliore è però la madre Joan Allen, che dà vita ad una convincente donna di mezza età combattuta tra sentimenti contrastanti, tra cui rabbia e rimpianti, che la strattonano di qua e di là e non le permettono di trovare la serenità.
Il fatto che all'inizio la madre dica subito che il marito è scappato con la segretaria svedese senza fare altre ipotesi, fa intuire quale possa essere stato il loro matrimonio prima del fattaccio; è evidente, cioè, che c'era già molto che non andava. Il colpo di scena finale, però, indirettamente dice molto sui sentimenti e sulle relazioni familiari, e sul fatto che non si può cominciare una nuova vita felici e contenti facendo finta di niente.
La quota di umorismo che il regista inserisce nel film secondo me non stona, non è cioè troppo cospicua, sì da far perdere alla pellicola la sua sostanza seria e in fin dei conti drammatica.
Pensando al termine "upside" col vocabolario in mano e tenendo presenti le riflessioni della figlia minore, io direi che il titolo originale si possa tradurre con "Il lato buono della rabbia".
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