Regia di F. Gary Gray vedi scheda film
Il titolo è un manifesto estetico. Non è rivoluzionario come le dichiarazioni programmatiche delle avanguardie storiche né ha le asprezze dei dogma all’europea. In fondo, si tratta di ”essere o non essere cool“. In questa commedia, con vampate di altri generi, ambienti, situazioni, personaggi fittizi e personaggi che interpretano loro stessi, si vive nel paesaggio scintillante e impalpabile in cui le storie sono matematicamente elevate al quadrato e sono sostenute dall’intertestualità, da un’enciclopedia mediatica che sta al di là del vecchio postmoderno preso di peso dalla produzione letteraria di Elmore Leonard. Lo sfondo è Los Angeles, metropoli divorata dalla sua stessa secolare messa in scena. Chili Palmer (Travolta) decide di lasciare il mondo del cinema e di avventurarsi in quello della musica, sottraendo una fanciulla con una bella voce ad un’organizzazione in cui Vince Vaughn si veste, parla e si atteggia come un nero, ha una guardia del corpo (The Rock) poco grintosa e attratta dalla carriera di attore ed entrambi sono al servizio di un boss (Keitel) che sta sempre al telefono. A costoro si aggiungono ridicoli mafiosi russi e squadracce rap. Nel film sfilano l’ineffabile Uma Thurman (ballerà con Travolta per la gioia della platea), De Vito e tanti altri, notissimi e quasi noti. Divertente, ma a corrente alternata. Arguto, ma frammentario. Questione di pose, di battute esplosive, di una cornucopia di dettagli, di costumi sui quali si potrebbero scrivere un paio di trattati. En. Mag.
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