Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
Non è facile; ma ciò non autorizza a fantasticare come fanno molti (cf Mereghetti o peggio Di Giammatteo). E' sconcertante: nessun aneddoto narrato è esemplare, anche se erano presentati come tali nei testi originali da cui sono tratti; forse (tenendo presente l'episodio dei cappellani militari in Paisà) presenta tutti aspetti "negativi" della religiosità, come quello dei frati del convento che si scandalizzano per la presenza di un ebreo e di un protestante, ma li "recupera", come là il cappellano cattolico, come esempi di semplicità e di bontà d'animo, come esito opposto a quello del fondamentalismo anche partendo dalla stessa premessa di totalitarismo ideologico: forse è proprio il frutto di una "crisi delle ideologie" maturata da Rossellini ante litteram e risolta in un elogio della follia come reazione al trionfo della violenza.
Resta comunque, anche prescindendo dai significati, la bellezza di immagini corali, pacate e serenanti, dei frati che si muovono come danzanti, in costante armonia in ogni situazione, con ogni tempo e di fronte ad ogni violenza altrui o ad errori propri; frati trattati spesso come bambini, di una ingenuità che spesso viene considerata "evangelica" (ma non credo che lo sia, in questi termini). La resa estetica comunque diventa funzionale al tema del recupero dell'infantilismo come contraltare alle violenze del fanatismo, e accompagnata da una visione benevola anche delle violenze altrui, che talvolta vengono domate con la mitezza sconcertante; ma non è questa la giustificazione di tale mitezza: il pastore che ha preso la capanna dei frati e poi li caccia sotto la pioggia è il prepotente più in torto e non viene "convertito", ma i frati ne traggono gioiosi esercizi di pazienza e una serata certamente più dolce di quella del solitario e rabbioso pastore; in compenso si piegano alla mitezza il porcaro cui è stata portata via una zampa di un maiale e che finisce per regalare loro l'intero maiale, o il capo barbarico, ottimamente interpretato da Fabrizi, che si convince che il frate catturato non era venuto per ucciderlo, lo ascolta, è colpito dalla sua benevola mitezza e se ne va togliendo l'assedio alla città.
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