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Il mare e l'amore

Regia di Kei Kumai vedi scheda film

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La recensione su Il mare e l'amore

di yume
6 stelle

Si resta nel calligrafismo, nella maniera che non di rado scade nel mélo, bisognava lasciare nel cassetto quella sceneggiatura che il Maestro Kurosawa non aveva potuto trasformare in film.

Nel 2002 Kei Kumai viene prescelto (Mifune Toshiro era il più influente tra i giudici) per realizzare un film da una sceneggiatura rimasta nel cassetto del Maestro Kurosawa.

Nasce Umi wa miteita, tradotto in un italiano da fotoromanzo Il mare e l’amore.

L’amore c’entra poco, è invece l’atto del vedere che conta, Umi è il mare ed è ciò che si vede, miteita, dalla finestra di O-Shin, ospite della “ casa di gheisha" in cui vive con le compagne e la “padrona”.

 

locandina

Il mare e l'amore (2002): locandina

 

Per buona parte del film il mare occhieggia calmo oltre la striscia di erba verde fluttuante, all’improvviso diventa una massa spaventosa, mugghiante, e acque a cascata dal cielo e dalla terra si rovesciano in un’apocalisse alluvionale spaventosa sulla sparuta comunità di piccole donne perdute e uomini attratti da piaceri mercenari.

E’ un lavacro purificatore che spazzerà via il male e l’egoismo, l’impurità che si è insediata in quelle vite e l’amarezza che le ha abbrutite, insinuando l’apatia paralizzante che ha impedito la palingenesi totale o anche solo minimi cambiamenti di rotta.

Sembra che al destino non ci sia scampo, infatti, ma i disastri della natura a volte sono monito e  indicano la strada della redenzione, anche se il prezzo è alto, fatto di vite umane.

Questo è dunque il messaggio e non stentiamo a riconoscere alcuni tratti del grande Maestro.

Quello che invece stringe il cuore è  pensare come l’avrebbe girato lui.

Qui si resta nel calligrafismo, nella maniera che non di rado scade  nel mélo (e l’assolo di tromba nei momenti più ardenti della storia è la famosa ciliegina).

Bisognava lasciare nel cassetto quella sceneggiatura, ben altro aveva realizzato tre anni prima Koizumi Takashi con Ame Agaru, un artista capace di rendere onore al suo Maestro anche dopo la morte.

Kumai fa del suo meglio, ma del film resta solo il ricordo di una bella scena con i ciliegi in fiore, e così una bella poesia giapponese ben tradotta può aiutare ad ingoiare il boccone:

 

Sakura (Ciliegio)

Fiori di ciliegio, fiori di ciliegio,

Sulle praterie e sulle valli,

A perdita d’occhio.

È nebbia o sono nuvole?

Fragranti nel sole del mattino.

Fiori di ciliegio, fiori di ciliegio,

Fiori in piena sbocciatura.

Fiori di ciliegio, fiori di ciliegio,

Attraverso il cielo primaverile,

A perdita d’occhio.

È nebbia o sono nuvole?

Fragranti nell’aria.

Venite adesso, venite,

Guardiamoli, finalmente!.

 

Simbolo di purezza, bellezza e felicità, nella cultura giapponese il fiore di ciliegio (sakura) ispira una mistica che nasce dalla contemplazione della natura, favorendo l’ascolto del ritmo sacro del creato e predisponendo il singolo a manifestare una sincera compassione per l’effimero carattere delle sue meraviglie.L’ incanto e la sua brevissima durata, fanno del fiore di ciliegio la metafora della transitorietà e della bellezza della vita,l’allegoria della gioventù e del suo rapido trascorrere. Per questo esso è anche il simbolo del samurai, la cui vita può essere staccata dall’ albero dell’ esistenza come i petali del sakura alla minima brezza.Immagine della precarietà di un’esistenza, breve come un battito di ciglia, perfettamente disegnata dalle parole di Yamaga Soto (XVII sec.): “Bardato di ferro, il bushi è caduto in combattimento col candore e la leggerezza di un fiore di ciliegio”.L’idea di perfezione del fiore del sakura è rafforzata dalla forma grafica abitualmente attribuitagli: i suoi cinque petali (itu) sono il simbolo della perfezione, della terra, del mondo manifesto e dell’uomo ”.

(Commento al testo poetico da aasr.it)

 

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