Regia di John Huston vedi scheda film
Siamo a Stockton, piccola e desolata cittadina della California dove regnano povertà e disoccupazione. Il trentenne Billy Tully (Stacy Keach) un tempo era un promettente pugile ma ora, con un matrimonio fallito alle spalle, beve come una spugna ed è anche un po’ suonato per i tanti colpi presi. Incontra per caso in una palestra il diciannovenne Ernie Munger (Jeff Bridges), giovane pugile dilettante che crede di poter fare strada nel mondo della boxe. Entrambi sperano di riuscire a cambiare vita, chi in un modo e chi in un altro: Ernie si illude di diventare un buon boxeur ma impara lentamente a conoscere le delusioni della vita; Billy, che per un pò di tempo si accompagna all'ubriacona Oma (Susan Tyrell) che gli spilla tutti i quattrini, decide di tornare ancora sul ring. Fat City – Città amara di John Huston, ovvero quando dietro ad un piccolo film si nasconde un capolavoro. Tratto da un romanzo di Leonard Gardner (che l’ha anche sceneggiato), Fat City è un impietoso ritratto della provincia americana, dove si lavora saltuariamente nei campi a raccogliere noci o patate per pochi dollari. In questo triste contesto, la boxe sembra un'ancora di salvezza, ma è un mondo di quart’ordine, nel quale giovani o vecchi pugili vengono spediti al massacro senza troppe esitazioni. Ma è anche il ritratto di due perdenti, Billy e Ernie, che in modo diverso vanno incontro alla sconfitta: il primo si è ormai rassegnato alla sua condizione, benché ogni tanto cerchi una via di fuga; il secondo vede via via affievolire tutto l’entusiasmo tipico della sua giovane età, con un matrimonio riparatore che gli cambia la vita e lo catapulta irrimediabilmente nel mondo degli adulti. Attorno a loro, Huston descrive benissimo anche i comprimari, che comprendono un campionario di derelitti tristemente messi da parte dalla società: fanno specie soprattutto il vecchio pugile che sfida Billy nell’ultimo incontro, già stanco e sfatto e forse malato, che esce di scena solo e senza proferire parola, mentre le luci del palcoscenico si vanno spegnendo; o il vecchio cinese che fa il cameriere alla tavola calda ("Ci pensi che un giorno ti svegli e sei come lui... Cristo, perché?"). Gli attori sono tutti bravissimi, ma chiaramente spiccano uno straordinario Stacy Keach nella sua migliore interpretazione di sempre ed un Jeff Bridges giovane ma già pieno di talento. Tutto è scarno intorno a loro, non c’è magniloquenza né uno svolgimento lineare della trama. Non c’è colonna sonora, fatta eccezione per la canzone Help Me Make It Through The Night scritta ed eseguita dall’attore-cantante Kris Kristofferson. È lei che accompagna l’incipit, è lei che dolentemente chiude lo struggente finale: due uomini ad un bancone, "Devo andare"; "No, facciamo ancora due chiacchiere", "Ok". Ma nessuno dei due ha voglia di parlare.
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