Regia di John Huston vedi scheda film
Indispensabile contributo del grande John Huston (uno dei maggiori autori del cinema USA, classico e moderno) alla poetica/estetica della New Hollywood. Il regista che, in piena età classica (fine anni 40), aveva traghettato il cinema statunitense verso la maturità, sulla scorta di pellicole fondamentali nello sviluppo dei generi, tanto sul fronte avventuroso-western (Il Tesoro della Sierra Madre) quanto su quello poliziesco-noir (Giungla d'Asfalto), non avrebbe proprio potuto restare in disparte nell'epoca (gli anni 70) in cui il cinema americano raggiunse il massimo livello di consapevolezza, lucidità critica e sperimentalismo formale, anche grazie all'opera di precursori come Huston, insieme a Ray, Aldrich, Fuller e ovviamente Welles. Ed ecco che Fat City lascia il segno tanto quanto un Cinque Pezzi Facili o un Mean Streets nel radiografare, senza alcun cedimento, la frustrazione di una generazione di losers, di outsider dell'American Dream. Uomini e donne, bianchi e neri, giovani e vecchi: tutti poveri. Difficile trovare un altro film statunitense, anche nei sinistrorsi 70's, che rappresenti con tanta onestà gli effetti della recessione economica (la crisi petrolifera del 1971) sulla popolazione "dimenticata" dal Grande Paese: lavori saltuari, faticosi e mal pagati. Merito anche di una fotografia realistica, dimessa, come gli umori dei personaggi. Ottima la prova di tutti gli interpreti, tutti co-protagonisti di un film corale, senza scene madri, nel segno della disillusione e di una rabbia sommessa, e che in questi aspetti finisce per riallacciarsi all'esperienza coeva di Robert Altman. Personalmente, mi pare di intravedere anche l'influenza misurata di Cassavetes, nei prolungati piani-sequenza domestici, con personaggi in stato d'ebbrezza. Due parole vale la pena di spenderle riguardo allo stile di questo regista, oggi inspiegabilmente sottovalutato, quando invece meriterebbe di essere messo sullo stesso piano dei maestri Ford, Hawks, Wilder, Welles, Altman etc...Forse il motivo è dovuto al fatto che John Huston non ha elaborato, nel corso degli anni, un'estetica così personale, facilmente riconoscibile (a differenza dei cineasti sopra menzionati); è sempre stato visto come un grande narratore, dallo stile asciutto, classico, trasparente...in realtà, Huston ha saputo leggere ed interpretare in maniera originale (e funzionale al copione) i vari linguaggi che l'avanguardia americana aveva "messo a disposizione" nelle varie epoche: ed ecco così che Giungla D'Asfalto riprende e ri-semantizza il barocchismo del maggiore cineasta USA dell'epoca (Orson Welles), laddove Fat City si serve dell'estetica decontratta, rarefatta, anti-climax dei vari Altman e Cassavetes (i più radicali innovatori USA del linguaggio cinematografico degli anni 70)...inoltre, nel realismo sciolto, disteso, e in quella concezione del tempo come sospeso, inerte, che caratterizzano Fat City mi pare di rivedere la lezione del grande Jean Renoir...fatemi sapere cosa ne pensate di queste osservazioni sullo stile di Huston...ah, un'ultima cosa: penso che il finale di questo film racchiuda con verace poesia tutto il senso della pellicola...
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