Regia di John Huston vedi scheda film
Una storia che sembra scritta da Bukowski, anche se l’autore è un altro (Leonard Gardner) e che ne racchiude l’anima, nelle sue descrizioni di perdenti e falliti, pugili e ubriaconi. Perfettamente inserito in quella malinconia tipica di molti film dei primi anni settanta, specialmente nella bellissima sequenza di apertura, sulle note di una canzone di Kris Kristofferson, Help me make it through the night - Una piccola stanza di un albergo, le finestre aperte, le bottiglie di liquore sparse, il letto sfatto, le lattine nel cestino, un pacchetto di sigarette, un accendino che non si riesce a trovare - E John Houston ci racconta, a suo modo, questo squarcio di società, sul baratro della miseria, fra le assolate strade di Stockton, California con le sue skid rows, vie della povertà piene di neri e miserabili e accattoni di ogni tipo - Gli allenamenti e gli incontri di pugilato, i lavori nei campi, con gli immigrati al fianco, il tentativo di rimettersi in forma, quando ogni possibilità di trovarne una che si adatti alla propria vita sembra stia per scomparire - Donne sbronze, le liti e le urla, le incomprensioni alcoliche, il bisogno di una vicinanza, di un affetto, di una mano che ci afferri prima di cadere in un baratro - E Billy Tully, interpretato da Stacy Keach, affronta l’esistenza e i suoi colpi bassi come fosse su un ring, con le cadute al tappeto e il tentativo, ogni volta, di rialzarsi e di rimettersi in piedi - I demoni dell’alcol e i fantasmi della tristezza, la luce delle strade, quella soffocata nella penombra dei bar, un incontro notturno con un altro giovane pugile (Jeff Bridges), mentre le sbornie si sommano le une alle altre e il bisogno di una parola, di una compagnia diventa più impellente, nell’attesa di un attimo in cui tutto appaia chiaro nella sua immobile lontananza e poi ci sia solo il silenzio che ci divide e ci unisce e ci rende soli e fragili e per questo infinitamente umani.
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